Il numero di luglio di Reason, mensile dell’ala libertariana americana, propone un ampio profilo-chiacchierata con Rick Doblin, factotum della Maps (Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies). Uscita mirata a dare impeto alla nuova raccolta-fondi appena lanciata dalla stessa Maps: 30 milioni di dollari per chiudere la terza fase, ora condotta in varie cliniche tra Nord-America e Israele, dei test clinici per approvare l’Mdma come coadiuvante nella psicoterapia per il trattamento del disturbo post traumatico da stress (Dpts). In particolare, è in corso la MAPS Capstone Challenge: raccogliere tramite donazioni pubbliche 10 milioni di dollari entro fine settembre per “sganciare” così un’analoga somma già promessa da un gruppo di filantropi americani. Una vera e propria “sfida” organizzata da Tim Ferriss, noto scrittore e produttore di podcast, e Joe Green, co-fondatore del Psychedelic Science Funders Collaborative.
Tra i diversi spunti meriteveli di quest’ampia (e caldamente consigliata) chiacchierata senza veli, c’è la questione cruciale che gli psichedelici non vanno presi (in senso lato) alla leggera. Va cioé chiarita e compresa questa dicotomia relativa agli enteogeni, tra l’uso ricreativo e la medicina per la mente. Precisa Doblin:
Credo che la gente abbia il fondamentale diritto umano di modificare il proprio stato di coscienza. Quando parlamo di libertà d’espressione o di religione, quello che si sottende in fondo è la libertà di pensiero. Gli psichedelici sono un buon esempio della libertà di pensiero che dovremmo avere.
Al contempo, quando li si assume a scopo ricreativo per avere puramente esperienze positive, se dovesse emergere qualcosa di difficile può diventare una situazione pericolosa. Se lo sopprimiamo, andrà ancora peggio. Perciò un aspetto di quest’esperienza comporta lavorare su se stessi.
Uno dei nostri slogan portanti è che difficile non vuol dire brutto. Molte volte, quando si punta a un’esperienza ricreativa e invece emergono situazioni difficili, diciamo: ‘È un bad trip, un brutto viaggio’. In realtà si tratta anche di un’opportunità. Quindi l’attuale medicalizzazione è una strategia per ampliarne al massimo l’accesso e arrivare alla salute mentale di massa.
Altro punto cruciale è il rapporto rischi-benefici, almeno per come viene percepito oggi nel contesto di una maggore accettazione (innanzitutto a livello culturale) di queste sostanze. Ecco ancora Doblin:
Dobbiamo stare attenti a non esagerarne i benefici o a minimizzarne i rischi. … Cerchiamo di essere chiari sul fatto che gli psichedelici non si addicono a tutti. Non sono una panacea. Non è una cura o una singola dose miracolosa. In realtà stiamo parlando di psicoterapia. Non è che basta buttar giù una pillola per risolvere tutto. Ciò tranquillizza, perché la gente capisce che l’esperienza avviene in un ambito terapeutico.
Il modo migliore di considerare le sostanze psichedeliche è pensarli come degli strumenti. Non sono buoni o cattivi in quanto tali. Tutto sta nel modo in cui li usiamo. Il punto sta nella relazione che abbiamo con loro.
Rispetto infine al futuro, ovvero all’obiettivo di una salute mentale autogestita a cui sostanzialmente punta l’intera operazione degli psichedelici terapeutici, Dobin appare decisamente positivo:
Sono molto ottimista. Quest’idea di unificazione, di un aspetto mistico partecipato, di un’umanità condivisa e una spiritualità globale – ciò innesca anche un maggior livello di individualità. A volte si pensa che parlando di spiritualità globale o di esperienze mistiche condivise, ogni differenza debba sparire all’istante. Credo invece che funzioni in entrambe le direzioni. Più riusciamo ad afferrare quel che ci accomuna, e più possiamo apprezzare quelle differenze che ci rendono unici.