Etnobotanica 1: Kava, l’enteogeno del Pacifico

Parte oggi questa rubrica a cadenza quindicinale sulle piante psicotrope più interessanti che coinvolge tutti i continenti – all’Amazzonia all’Estremo Oriente, senza nessun limite geografico o culturale. Oltre a una parte teorica sull’etnobotanica e sulla farmacologia delle varie specie, gli articoli verranno integrati da una parte pratica con le informazioni tecniche su estrazione e lavorazione. Con un occhio di riguardo per le nuove scoperte della scienza moderna, ma senza sminuire il valore delle conoscenze antiche.

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BOTANICA

KavaIl genere Piper include circa 200 specie, 10 di queste vengono largamente impiegate per la produzione di spezie culinarie e fitofarmaci. La kava (Piper methysticum, dal latino “pepe intossicante”) è un cespuglio molto comune in gran parte delle isole dell’Oceano Pacifico. La radice, spesso chiamata erroneamente rizoma, è costituita da un vigoroso fusto principale da cui dipartono delle ramificazioni laterali che terminano in estremità sottili e filiformi.

Deriva da una cultivar selvatica più antica, Piper wichmannii. Analisi genetiche lasciano supporre che il methysticum, arbusto dioico sterile, sia stato clonato in seguito ad un lungo processo di selezione dei mutanti migliori [1].

La differenza principale tra le due specie sta nella radice che ha un tessuto molto più duro e legnoso nella wichmannii, infatti vengono spesso confuse o vendute indistintamente. Per esempio un campione raccolto a Tangoa in Vanuatu è stata identificato contemporaneamente da due erboristi come methysticum e wichmannii [2]. Anche tra i nativi le distinzioni sono poco chiare, infatti sull’isola di Vanuatu vengono chiamate indistintamente kava. In alcune zone come Maewo e l’isola di Pentecoste anche la specie selvatica viene impiegata per la preparazione della bevanda [3].

Diversi autori nel corso degli anni hanno formulato varie ipotesi sull’origine geografica della kava: nel 1959 Yuncker la definì “problematica” [4], poi Barrau ipotizzò fosse originaria dell’Indonesia orientale o di Papua Nuova Guinea [5]. Nel 1981 Smith ribadì che la provenienza della pianta fosse incerta [6], mentre nel 1989 Brunton suggerì che l’origine si potesse ritrovare nella Melanesia occidentale [7]. Lebot scrisse che la kava fosse stata introdotta dapprima a Vanuatu, luogo in cui si può ritrovare il maggior numero di cultivar diverse, meno di 3000 anni fa. Da lì si sarebbe poi diffusa in Fiji, Polinesia, Nuova Guinea e Micronesia.

Un’altra teoria, supportata anche dall’etnobotanologo italiano Samorini, si basa sul ritrovamento di un centinaio di mortai di pietra in Nuova Guinea e nelle isole vicine, particolarmente concentrati nell’arcipelago di Bismarck, isole Salomone e Nuova Guinea Orientale. Si ipotizza che, dati gli ornamenti preziosi, venissero impiegati in contesti rituali per la produzione di bevande disgustose a base di radici di Zingiberacee e Piper wichmannii. I martelli vennero poi abbandonati forse perchè la forma coltivata della kava, molto meno amara e nauseabonda, poteva essere masticata direttamente senza problemi.

Le discrepanze con la distribuzione geografica possono essere spiegate da un disuso della pianta che sarebbe tornata in voga successivamente, probabilmente in seguito alla selezione del Methysticum. La maggior varianza delle cultivar notata da Lebot a Vanuatu può essere spiegata dall’introduzione di altre varietà dalla Polinesia. La datazione di questi reperti potrebbe dimostrare che la kava venisse già consumata in Nuova Guinea più di 5000 anni fa [8]. (vai all’articolo integrale)

SOCIETA’ E SPIRITUALITA’

La cultura della kava varia molto da isola a isola, ma ha sempre una certa funzione religiosa. Il ruolo sociologico ed unificante della pianta può essere paragonato a quello dell’ayahuasca in Sud America o del peyote tra i nativi americani, è l’elemento comune che unisce le genti del Pacifico. Viene vista sia come fluido vitale che come veleno, quest’apparente contraddizione riflette la visione di nascita e morte come momenti di passaggio tipica delle genti del pacifico.

La kava funge da lubrificante per attraversare il dominio dei vivi e l’aldilà [9]. Bere la bevanda è il momento rituale in cui si è soliti invocare gli spiriti di antenati e delle divinità [10]. In molte isole si getta qualche goccia della bevanda fuori dal bordo del tavolo come offerta per gli dei, anche il costume di bere tutto d’un fiato quindi applaudire tre volte è molto comune. Nella Polinesia l’assunzione tradizionale della kava richiedeva uno stretto protocollo cerimoniale e gerarchico che rifletteva i sistemi politici e la grossa domanda per la radice che spesso superava le possibilità produttive locali.

In alcune zone come Tubuai la potevano consumare solo i nobili e gli alti ranghi [11]. Dall’inizio del XIX secolo però, seguendo l’aumento della coltivazione in larga scala, il consumo della bevanda si è progressivamente esteso in tutte le classi sociali come in Melanesia. Nelle Fiji si beve giornalmente nelle tradizionali coppe, tanoa, intagliate da un singolo pezzo di legno sia in privato che in pubblico prima di ogni evento sociale, politico o religioso.

Tanoa È comune celebrare una cerimonia formale per accompagnare la bevanda, yaqona, ed un fascio di radici della pianta viene esposto come dono rituale, sevusevu. [12]. A Rotuma la somministrazione nei contesti cerimoniali è ancora strettamente regolata dal ceto sociale, un tempo la bevanda veniva prodotta da delle vergini che masticavano le radici fresche. A Samoa si beve ad ogni evento pubblico specie nel caso di ospiti: in genere si serve prima il capo del gruppo in visita poi quello dell’ospite, quindi si procede in ordine di rango. La bevanda viene servita in una noce di cocco spaccata a metà, ci si attiene ad uno stretto protocollo gestuale e rituale [13].

A Tonga è riservata solo agli uomini che la bevono nei kalapu. Nelle cerimonie informali in assenza di una donna un uomo può servire la bevanda. In alcune chiese la kava viene presentata ai dignitari ecclesiastici durante la cerimonia del sabato. Le congregazioni metodiste gestiscono in genere un kava bar come circolo giovanile, per incoraggiare il consumo della bevanda come alternativa all’alcol [14]. Nell’isola di Tongatapu si può bere solo le notti di venerdi e sabato, le sessioni durano circa 8 ore.

A Vanuatu si beve di notte nelle nakamal, particolari circoli maschili. Solo nelle aree urbane si può trovare qualche grosso kava bar aperto anche alle donne. L’atmosfera è molto diversa dalle nakamal, molto più rilassata priva di componente spirituale. La bevanda viene servita in coppe di plastica o vetro, non nelle tradizionali noci di cocco [15]. A Futuna si beve per insignire un nuovo regnante [16]. Nelle isole di Wallis durante le feste informali le coppe di kava vengono passate dai ragazzi che corrono intorno da una persona all’altra, i più giovani procurano l’acqua per la bevanda.

SESSUALITA’

Kava2La cultura della kava è strettamente connessa alle credenze cosmologiche e sociali dei nativi sulla fertilità, il sesso e la mascolinità. Più elementi comuni ricorrono nei vari miti sull’origine della kava, tra questi le caratteristiche supernaturali, femminili ed animali della radice. Secondo un mito la pianta deriverebbe da una vagina decomposta di un cadavere, in relazione al suo odore penetrante e al suo potere bivalente: vitale e mortifero al tempo stesso.

Altri miti la associano al fallo: due donne stavano pelando dell’igname selvatico quando una radice di kava spuntò dal terreno e si incastrò nella vagina di una provocandole molto piacere. Raccolsero la radice e la curarono nel loro giardino, da lì si passò dal consumo del kava selvatico (wichmannii) al coltivato (methysticum). A Tonga viene servita da giovani ragazze chiamate touʻa che non devono avere alcun legame di parentela con i clienti per poter parlare liberamente di questioni anche amorose.

Nelle Fiji e a Tonga le basi delle tazze vengono chiamate seni, a Malakula e nella zona occidentale di Papua si fanno libagioni con la bevanda per propiziare il raccolto o la messa in acqua di una nuova canoa [17]. A Vanuatu si dice che “la kava è una donna e una donna non può prendere una donna”. Sono poche le donne che consumano la bevanda tra i nativi e lo fanno in contesti informali. Tra i Gebusi della Nuova Guinea, così come in altre culture in Melanesia, la bevanda viene associata allo sperma e al cameratismo maschile, viene completamente proibita alle donne. La cerimonia informale vuole che si dichiari di voler offrire il proprio kava alle donne o, in alternativa, implorare un altro di bere il suo kava manifestando metaforicamente l’intenzione di ricevere una fellatio. Al mattino i danzatori maschi vestiti di ornamenti ballano mentre le donne intonano canzoni malinconiche, Knauft riporta che durante queste feste alcuni partecipanti si allontanavano nella boscaglia per consumare rapporti omosessuali [18].

POLITICA ED ECONOMIA

Radici di Kava Durante il XIX secolo i missionari e colonialisti europei iniziarono a spingere contro la kava che era d’intralcio alla loro opera di conversione ed assoggettamento dei nativi. I movimenti religiosi che nel 1800 si erano prodigati in Europa, Australia e America nei confronti della lotta all’alcol e al tabacco, spostarono i loro attacchi verso la bevanda esotica definendola “radice malvagia” o “liquore maledetto” [19].

I cristiani temevano il potere religioso e spirituale della kava che permetteva ai nativi di congiungersi con antenati e divinità e fecero di tutto per proibirne il consumo. In Micronesia, dove la pianta viene impiegata per la cerimonia del tributo al re, il proibizionismo serviva anche a minare il sistema politico tradizionale per l’implementazione delle nuove leggi dei missionari [20].

Col tempo la kava venne eradicata in diverse comunità tra cui Tahiti e Kosrae. Nelle 1850 nelle Hawaii invece fu proibito il consumo del kava selvatico o fresco grezzo senza supervisione medica, da quel momento si diffuse il kava secco in polvere. Oggi il principale esportatore sono le Fiji, dal 1950 è diventata una cultura da reddito e sono state selezionate solo le cultivar più produttive per il mercato internazionale.

MEDICINA TRADIZIONALE

Alcune applicazioni della kava nella medicina tradizionale del Pacifico sono dovute al suo grande valore simbolico. L’impiego come galattogogo, ad esempio, è dovuto alle credenze sulla fertilità e non ad una azione efficace vera e propria. In Nuova Guinea si consuma la poltiglia masticata della radice fresca come analgesico. In alcune zone viene consumata in grandi quantità dalle donne incinte prima del parto per stimolare la produzione del latte [21].

Sull’isola di Papua Nuova Guinea usano le radici e la corteccia per calmare il mal di gola, il succo delle foglie viene applicato sulle ferite o consumato come tonico generale [22]. Nella Nuova Guinea Occidentale si mastica la corteccia interna come rimedio per il mal di denti [23]. A Vanuatu la radice si impiega da sempre come narcotico ed anestetico.

A Mota Lava la kava si beve per trattare la costipazione, il succo delle foglie viene applicato sugli occhi contro la congiuntivite [24]. Nell’arcipelago di Pentecoste si consuma un infuso di corteccia come rimedio per la tosse. Per le malattie febbrili impiegano il succo delle foglie fresche. Una poltiglia base di foglie pressate e scaldate si usa localmente per trattare mal di testa, disturbi gastrici o epidermici. Per curare i gonfiori alle gambe fanno dei bagni con un macerato di foglie. A Melsisi il succo delle foglie fresche viene messo nelle orecchie per trattare i disturbi otalgici. A Tangoa si fanno dei massaggi ricostituenti con il succo delle foglie.

A Erromango si prepara una combinazione col succo delle foglie fresche di Crassocephalum crepidioides, Abrus precatorius, Heliconia indica e Piper Methysticum come rimedio per asma e tubercolosi [25]. A Tanna le donne incinte bevono il succo delle foglie di kava e Fimbristylis cymosa prima di partorire per “essere sicure che il bambino si ruoti dalla parte giusta” per uscire.

A Samoa quando i marinai si feriscono con le spine di pesce, bruciano della radice di kava in una noce di cocco, quindi espongono la ferita al fumo che esce dai buchi del guscio. A Pohnpei si crede che il consumo di kava sia profilattico per il rischio di gonorrea e che contribuisca ad una buona salute. Un tempo si impiegava anche come abortificente [26].

STORIA

Tombe con Kava Le evidenze archeologiche dirette sulla kava sono poche e frammentarie. Ad Eloaua, nell’arcipelago Bismarck, è stato ritrovato un frammento fossilizzato di un fusto di Piperacea datato tra il 1600 e il 400 a.C che alcuni autori credono possa essere kava [27]. In siti più recenti come quello di Vaito’otia a Huahine sono stati ritrovati campioni di Piper methysticum [28].  A Vanuatu in una tomba risalente al XIII secolo sono stati ritrovati diversi scheletri in posizione rilassata che erano stati sepolti vivi con il capo, le donne vicine invece presentano segni di lotta. Si ipotizza che venisse usata come pozione soporifera ma venisse preclusa alle donne [29].

Hocart riporta la presenza di kavalattoni rilevati tramite spettrometria di massa in alcuni reperti localizzati nelle Fiji ma non fornisce una datazione precisa [30]. L’esploratore inglese del XVII secolo James Cook è stato il primo occidentale ad annotare sul suo diario gli effetti degli alti dosaggi della bevanda sull’equipaggio comparandoli a quelli dell’oppio. Il botanico J. G. Forster, che era partito con Cook nel suo viaggio in Polinesia descrive la bevanda come insapore o leggermente pepata [31].

Nel 1857 a Tahiti Cuzent, un farmacista della marina francese, estrasse le radici e i fusti basali della kava isolando una sostanza pura cristallina che chiamò kavahina [32]. Dalle formule di struttura si è visto in seguito che il composto fosse più simile alla diidrometisticina, alcune discrepanze nelle caratteristiche chimiche lasciano supporre che il campione fosse contaminato. Qualche anno dopo Gobley, un altro farmacista, ottenne un campione di radice essiccato a caldo da un collega di Cuzent e lo analizzò riportando 49% amidi, 26% cellulosa, 15% acqua, 7% minerali, 2% resine ed un olio esseziale giallo, 1% composto cristallino che definì “metisticina” [33].

Anche il campione di Gobley era impuro in realtà data la presenza di 1.12% di azoto. In un primo momento pensò che la sostanza cristallina fosse il principio attivo della bevanda, ma poi identificò la percentuale più alta di droga nella resina gialla. Nel 1874 venne isolata anche la yangonina [34]. Intorno agli anni 1930 furono isolati tutti i principali composti e vennero chiamati kavalattoni: kavaina, metisticina, diidrometisticina e per ultimo la diidrokavaina nel ’38 che era stata chiamata marandinina in riferimento ai Marind-Anim della Nuova Guinea Occidentale dove era stato prelevato il campione.

Van Veen affermò erroneamente che la marandinina fosse l’unico principio attivo della pianta sul CNS [35]. In seguito Hansel somministrò la diidrokavaina e le diidrometistina per via enterica in un topo facendolo addormentare per 20m, inoltre notò che la seconda era insolubile in acqua ma solubile in olio di noci e nei succhi gastrici.

Lo studioso riprese Veen concludendo che i principali composti attivi della pianta fossero questi due [36]. Torrey, prigioniero di una tribù nelle isole Marchesi, riportò che l’eccesso di kava distorcesse la faccia in un maschera mostruosa, indebolendo il soggetto fino a farlo cadere per terra in preda allo stupore [37]. Hocart scrisse di un effetto gradevole ed ozioso che stimola la socialità senza indurre ilarità o loquacità [38], Lemert sottolineò come la sensazione fosse diversa rispetto all’alcol e precludesse qualsiasi comportamento impulsivo o violento [39]. Dagli anni ’90 in poi i prodotti a base di kava si sono diffusi negli Stati Uniti, in, Europa e in Australia come medicina alternativa e sedativo naturale anche se recentemente in alcuni paesi è stata bandita dai preparati galenici per via dei timori sulla sua potenziale tossicità.

FARMACOLOGIA

Lewin [40] ed in seguito Schultes e Hoffman [41] classificarono la kava sia come narcotico che ipnotico. Nel 1989 Siegel la descrisse come sedativo ipnotico [42]. Il primo studio comprensivo sulla farmacologia dei vari kavalattoni è stato condotto tra gli anni ’50 e ’60 dal team di Meyer dell’Università di Freiburg in Germania. Vennero documentate le loro proprietà sonnifere, analgesiche, anestetiche locali, miorilassanti e antimicotiche. L’effetto narcotico di diidrokavaina e diidrometisticina, i composti più potenti, venne paragonato al protossido di azoto e all’etere [43].

I meccanismi farmacologici alla base degli effetti psicoattivi della kava non sono stati ancora chiariti bene. Steinmetz suggerì che l’azione depressiva della kava sul sistema nervoso fosse mediata dalla via spinale e non cerebrale, stimolando prima i muscoli, quindi paralizzandoli soprattutto nella zona degli arti inferiori. Inoltre ridurrebbe il ritmo cardiaco, potenziando e poi deprimendo la respirazione [21].
I kavalattoni hanno mostrato solo una debole affinità per il sito di legame delle benzodiazepine e del GABA che non spiega la loro marcata azione ansiolitica [44]. Tuttavia in una ricerca del 2016 la kavaina ha interagito direttamente col recettore per il GABA, attraverso una via diversa dal classico legame col sito delle benzodiazepine [45].

Sembra agisca potenziando il legame del ligando, senza mostrare agonismo per il recettore delle benzodiazepine. In una ricerca del 2000 un estratto di kava ha mostrato anche deboli affinità (IC50 > 100mg/ml) per i recettori della dopamina (D2), oppioidi (μ, δ) e dell’istamina (H1, H2) [46]. Osservazioni fatte su casi clinici portano a pensare che possa agire come antagonista della dopamina in maniera significativa, l’effetto sedativo potrebbe essere mediato, almeno in parte, da questo meccanismo [47].

Anche le evidenze animali mostrano effetti sulla dopamina: un estratto a basso doaggio (20 mg/kg i.p.) ha ridotto i livelli di dopamina nel nucleus accumbens dei ratti, alla dose più alta (120 mg/kg i.p.) li ha incrementati. La kavaina isolata si comporta allo stesso modo, la yangonina provoca una lieve diminuzione della dopamina, la desmetossiyangonina invece un aumento. La kavaina riduce anche i livelli di serotonina (5-HT). Questi dati supportano la tradizionale applicazione come antipsicotico tra gli aborigeni australiani [48].

La kavaina è un potente inibitore non stereo-selettivo della ricaptazione della noradrenalina, un altro meccanismo coinvolto nell’azione psicotropa della kava [49]. Inoltre ha inibito l’enzima MAO-B e MAO-A in maniera reversibile e competitiva con valori IC50 di 5.34 e 19.0 µM rispettivamente, a questo riguardo la yangonina è più potente con valori di 0.085 e 1.29 µM. Parte degli effetti benefici delle kava su ansia ed umore potrebbero essere dovuti a questo meccanismo [50].

Le affinità recettoriali non spiegano comunque gli effetti spesso anche equivoci della kava sul sistema nervoso, le ipotesi più accreditate vogliono che i kavalattoni agiscano in sinergia modulando diversi neurotrasmettitori ma anche la loro stessa azione farmacologica individuale. In uno studio randomizzato a doppio cieco la somministrazione di kava (1 compressa da 120mg di kavalattoni) due volte al giorno ha ridotto l’ansia e migliorato la funzionalità sessuale incrementando il sex drive delle donne [51]. In un altra ricerca su pazienti affetti da disturbi d’ansia un estratto standardizzato commercializzato col nome di Laitan ha ridotto i sintomi in maniera drastica [52].

Uno studio più esteso ha dimostrato le proprietà ansiolitiche ed antidepressive di un estratto acquoso a base di kava [53]. In una ricerca randomizzata a doppio cieco condotta su volontari sani la somministrazione 300mg di estratto di kava per via orale ha migliorato la velocità nello svolgere i compiti del resoconto parziale e del riconoscimento degli oggetti, indicando un effetto benefico sull’attenzione visiva e la memoria a breve termine. L’effetto collaterale principale è risultata euforia e buon umore [54].

I kavalattoni hanno mostrato un ottimo potenziale neuroprotettivo: inibiscono la fosforilazione della protein chinasi associata a mitogeni (MAPK) p38 agendo sulla produzione di citochine proinfiammatorie, Contemporanemente attivano la proteina chinasi ERK potenziando le difese antiossidanti. Questi due meccanismi contribuiscono alla sopravvivenza delle cellule in caso di danno neuronale [55]. In molte ricerche ha dimostrato di ridurre lo stress ossidativo e la neuroinfiammazione indotti dalle malattie neurodegenerative, oltre ad avere un azione antischemica ed anticonvulsivante [56]. Vengono riportate anche interessanti interazioni con altre sostanze dovute sia all’azione sull’enzima MAO che all’inibizione degli enzimi del citocromo epatico P450 [57]. In combinazione col diazepam ha incrementato il treshold massimo delle convulsioni da elettroshock (MEST) e potenziato l’attività anticonvulsivante del farmaco nei modelli acuti e cronici.

In più ha alleviato gli effetti inibitori del diazepam sulla locomozione spontanea e le alterazioni epatiche indotte dalla somministrazione prolungata. I ricercatori conclusero che la combinazione avesse una maggiore efficacia e meno effetti collaterali del farmaco da solo [58]. In altri lavori è stato descritta l’eventualità di un effetto cumulativo tra la pianta e alcol, barbiturici, miorilassanti ed altre sostanze psicotrope che può anche portare al coma in casi estremi [59]. Un estratto di kava ha ridotto i comportamenti stereotipati nei topi trattati con anfetamina, riducendo l’attività di MAO-A nella corteccia e MAO-B nell’ippocampo [60]. In un ulteriore studio si è comportato allo stesso modo nei confronti dell’apomorfina [61]. Oltre all’azione sul CNS, la kava e i suoi composti sono stati studiati per le proprietà antitumorali [62], erbicide e larvicide [63].

TOSSICITA’

Nel corso degli anni la kava è stata bandita in diversi paesi a causa di un buon numeri di casi di epatossicità direttamente connessi al consumo della pianta e soprattutto degli estratti. I composti responsabili di quest’azione sul fegato sono due: flavokavaina B e pipermetistina. La pipermetisina è un alcaloide e si trova solo nella parte aerea. È probabile che qualche compagnia senza scrupoli avesse usato la pianta intera per questioni economiche, d’altronde in alcuni studi un estratto di foglie è risultato più potente della radice sui recettori delle benzodiazepine, oppioidi, dell’istamina e della serotonina nonostante il basso contenuto di kavalattoni [46]. L’unico problema è che la pipermetistina causa gravi danni epatici attraverso la compromissione della funzione mitocondriale.

Da studi in vitro si è visto che può uccidere il 90% degli epatociti umani alla dose di 100 μM, mentre nessuno dei kavalattoni anche somministrato cronicamente alla stessa dose per 8 giorni li ha dannegiati. I ricercatori concludono dicendo che i casi rari di epatossicità severa in seguito al consumo di kava possono derivare dall’alterazione della radice con parti di steli e foglie [64]. Già le scaglie del fusto, principale materia prima della stragrande maggioranza degli estratti di kava presenti sul mercato, hanno un contenuto di alcaloidi superiore alla radice che potrebbe influire sull’insorgenza di disturbi epatici [65].

LibraryLe flavokavaine sono calconi citotossici. A e C non sembrano particolarmente pericolosi, la A è stata testata sui topi risultando sicura come additivi alimentare entro determinate concentrazioni [66]. Tuttavia la B è una potente tossina epatica: causa la deplezione delle riserve di glutatione sconvolgendo l’equilibrio ossidativo del fegato. In più blocca l’attivazione del complesso proteico NF‐κB indotta dal TNF‐α, un meccanismo essenziale per la sopravvivenza della cellule epatiche. Infine attiva il segnale MAPK, un altro processo che può portare alla morte degli epatociti [67].

Una ricerca del 2014 ha analizzato 172 campioni di radice e fusto (niente parte aerea) di kava tramite cromatografia su strato sottile ad alta prestazione (HPTLC), i risultati dimostrarono che il contenuto di flavokavaina B delle varietà nobili e medicinali era appena rilevabile, mentre risultò facilmente identificabile nella Wichmannii e tudei [68]. Ancora una volta le morti sono dovute all’avidità di chi trasforma la materia prima, le specie selvatiche crescono infatti molto più velocemente e hanno un costo davvero irrisorio all’ingrosso.

Anche l’impiego di solventi organici e tecniche di estrazione esaustiva, estranee al processo di preparazione della bevanda tradizionale, influiscono notevolmente sul contenuto di questi calconi come si può notare nella tabella 1 presa dallo studio di Zhou, Ping, et al. del 2010 [67]. I preparati acquosi hanno un rapporto kavalattoni/flavokavaina B di gran lunga più sicuro.

Una terza ipotesi molto accredita vuole che l’alta temperatura ed umidità tipica delle zone tropicali del Pacifico renda la materia prima facilmente prona alla muffa, specie se mal essiccata e conservata, con eventuale sviluppo di composti tossici per il fegato come le aflatossine [68]. Anche l’inibizione degli enzimi del citocromo epatico P450 potrebbe contribuire ai casi di tossicità da kava, incrementando notevolmente la tossicità di altri farmaci spesso assunti insieme alla radice. A parte l’epatossicità il consumo cronico ed eccessivo è stato collegato anche a disturbi epidermici, cognitivi e muscolari di entità molto variabile.

PREPARAZIONE

Kava3Molti restano delusa dalla radice in polvere di kava: a parte l’alta labilità delle componenti attive agli agenti atmosferici e quindi la possibilità di acquistare prodotti scadenti o troppo vecchi, è l’idrofobicità dei kavalattoni, i principi attivi, a rendere ostiche le preparazioni.

Tentare di fare una tisana come fanno tanti non è una buona idea, né tantomeno provare e mandare giù la radice in polvere. Io sconsiglierei l’uso di solventi organici come etanolo o acetone per non livelli di calconi più alti del necessario. Di seguito illustro un buon modo per prepararla in maniera efficiente senza solventi forti a titolo puramente informativo.

Non è una ricetta alimentare, non si consiglia il consumo della bevanda.

I kavalattoni sono localizzati dentro il tessuto della radice e vanno spremuti letteralmente fuori emulsionandoli in un grasso. Da diversi test condotti personalmente ho notato che maggiore è la percentuale grassa, maggiore l’efficienza dell’estrazione. Le polveri, per quanto fresche, non rendono come la radice intera tagliata.

-Prendere dai 5 ai 10g di radice e tagliarla a pezzi piccoli.

Ricetta Kava-Trasferire i pezzi in un frullatore con la quantità minima di latte e panna, proporzionati in base ai gusti, sufficiente a frullare la soluzione per bene. Per renderla più leggera si può anche mischiare il latte con un 50% di acqua.

-Azionare il frullatore a intervalli di un minuto,facendo attenzione a non surriscaldare l’elettrodomestico, proseguire per un quarto d’ora complessivo.

Kava4-Filtrare via il residuo solido con un panno spremendo per bene tutti i liquidi.

-Ripetere nuovamente il procedimento con lo stesso residuo di radici, quindi unire i liquidi per equilibrarne la potenza.

 

 

 


FONTI

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NOTA: QUEST’ARTICOLO HA UNO SCOPO PURAMENTE EDUCATIVO. NON VUOLE INCORAGGIARE AL CONSUMO DI KAVA, LA PIANTA E’ STATA BANDITA DAI PREPARATI ERBORISTICI IN ITALIA E VIENE CONSIDERATA TOSSICA PER IL FEGATO.