Ennesima decisione di stampo iper-proibizionista quella appena presa dal governo italiano riguardo all’ayahuasca. Il Ministero della Salute ha ufficialmente inserito le due piante da cui vengono estratti i principi attivi (armalina, armina e DMT), Banisteriopsis caapi e Psychotria viridis, nella Tabella I delle sostanze stupefacenti del Testo Unico sulle droghe.
Il decreto, pubblicato il 14 marzo sulla Gazzetta Ufficiale, arriva “in considerazione delle informazioni estrapolate dalla letteratura internazionale” e a seguito di 5 segnalazioni di sequestri nel periodo dicembre 2019-novembre 2021. Si citano anche due presunti casi (2011 e 2018) di intossicazione correlati all’assunzione di armina, il principio attivo contenuto nella Banisteriopsis caapi.
Ciò rende l’ayahuasca a tutti gli effetti illegale sul suolo italiano, sulla falsariga di quanto avviene dal 2005 in Francia (dove per 100 giorni ne fu riconosciuto di fatto l’uso rituale per i seguaci della Chiesa del Santo Daime, si veda sotto) . Si cerca così di risolvere, in senso unicamente repressivo, la “zona grigia” giuridica che finora assolveva il decotto preparato dalle due piante, mentre il DMT era già incluso nella Tabella I (come è tuttora il caso in Spagna).
Abbiamo interpellato al riguardo alcuni esperti coinvolti nella rete Psy*Co*Re. A partire da Giuseppe Cazzetta, studioso e coltivatore di prodotti etnobotanici e composti da ricerca, per il quale «il decreto non cambia molto la situazione legale, piuttosto non evita di creare ulteriori ambiguità. Resta aperto il dubbio sulla legalità delle altre piante polverizzate o macinate non lavorate, contenenti i suddetti principi attivi, cioè non è chiaro se i due componenti diventino illegali una volta uniti (anche senza estrazione e lavorazione, come polveri di piante essiccate ad esempio). È poi rimasta fuori tabella la Banisteriopsis muricata che ha fitocomplesso estremamente simile alla liana ormai bandita. Non parliamo poi delle fonti di DMT, che sono davvero infinite: comprendono piante spontanee comuni come Phalaris e Arundo donax».
Aggiunge Riccardo Zerbetto, psichiatra e psicoterapeuta, già consulente del Ministero della Sanità in tema di Tossicodipendenze e psichiatria nel 1980-81: «In realtà non risultano “effetti allucinogeni” dall’assunzione di Banisteriopsis caapi, che è un IMAO (inibitori della amminossidasi). La dizione “tutti i componenti conosciuti” non tiene probabilmente conto del grande numero di tali componenti con il rischio di dare indicazioni generiche quanto non suffragate da letteratura scientifica. E il riferimento ai soli “due casi di intossicazione correlati all’assunzione di armina, il primo nel 2011 ed il secondo nel 2018 segnalati dal Centro antiveleni di Pavia”, suona più a sostegno della innocuità di questa sostanza che non della sua rilevanza tossicologica».
Va ricordato che il decotto di ayahuasca, ricavato dalla bollitura delle suddette piante che contengono l’allucinogeno DMT (29-43 mg per una dose media), è usato da secoli sia come pianta medicinale sia, soprattutto, come bevanda sacra per attivare lo stato allucinatorio nei riti sciamanici e per la comunicazione con il divino. E ha dimostrato di poter curare gli stati depressivi e dell’umore, le dipendenze da droghe pesanti e alcolismo, come anche diverse patologie di ordine fisico, oltre ad offrire l’espansione della coscienza e la sensazione di inter-connessione con il tutto, in particolare con la natura e gli altri esseri viventi. Proprietà tutt’altro che trascurabili nell’odierno quadro di disfunzioni psicosomatiche e neurologiche a livello globale, a cui la medicina occidentale sembra lontana dal trovare soluzioni adeguate.
Definito la “grande medicina” delle foreste amazzoniche, a partire dagli anni ’90 il decotto ha acquisito popolarità anche nei Paesi occidentali anche grazie all’interesse del mondo accademico per le sue potenzialità terapeutiche. Un’analisi comparativa degli studi clinici sugli psichedelici apparsi sulle riviste specializzate dal 1995 al 2015 riportava che “ayahuasca, psilocibina e Lsd possono essere utili strumenti farmacologici per il trattamento di tossicodipendenza, ansia e disturbi psicologici, specialmente in casi resistenti ai comuni farmaci”.
Il Beckley Foundation Science Programme, uno dei centri di ricerca da anni impegnato nello studio dei molteplici effetti delle sostanze psichedeliche, segnala che gli esperimenti con l’ayahuasca hanno dimostrato che l’uso regolare incrementa qualità come apertura, ottimismo e consapevolezza. Tra i consumatori abituali emerge la riduzione della corteccia cingolata posteriore, una delle regioni cerebrali coinvolte nella rappresentazione del sé e dell’autoconsapevolezza. Ancor più importante il fatto che a una corteccia ridotta corrisponde un alto livello di alcuni tratti tipici della consapevolezza: autotrascendenza, sensazioni transpersonali e spiritualità.
Tuttavia le nuove indagini scientifiche (sull’intero spettro delle sostanze enteogene) e le dinamiche religioso-culturali legate all’ayahuasca vengono completamente ignorate dal decreto ministeriale, interessato solo a riconfermare l’approccio proibizionista, forse sull’abbrivio della recente bocciatura del referendum popolare sulla legalizzazione della cannabis.
Proprio su questo interviene Carolina Camurati, attiva in Psy*Co*Re e co-fondatrice dalla Società Psichedelica Italiana: «Il Ministero della Salute che, piuttosto che ammettere il proprio non sapere e provare ad attivarsi in direzione di una regolamentazione d’uso di sostanze psicoattive troppo facilmente definite d’abuso, e forse anche per questa mancanza di sapere e di regole troppo spesso impropriamente assunte, nuovamente sancisce il ritardo dell’Italia nel posizionarsi criticamente nei confronti della ricerca scientifica su composti che nella clinica stanno mostrando esiti a dir poco stupefacenti. Tutto ciò, a distanza di qualche settimana dalla bocciatura del referendum sulla cannabis che avrebbe portato a cambiare atteggiamento verso alle piante, finanche con proprietà psicoattive e psicotrope, di cui ancora così poco sappiamo e che avrebbero così tanto da insegnare alla nostra specie arrogante che pensa che la vita possa esser comandata a suon di leggi e decreti, come se fossero questi ad educare la sensibilità verso un rispetto più maturo per l’ambiente e per l’umano».
Va anche ricordato che in Brasile operano da tempo due correnti religiose basate sulle cerimonie con l’ayahuasca: il Santo Daime (1940) e la Unio do Vegetal (1961). Nel 1992 il governo brasiliano ha ufficializzato per entrambe le congregazioni il permesso di fare uso di ayahuasca a scopo religioso. Le rispettive congregazioni sono presenti anche in diversi Paesi europei e negli Stati Uniti, dove la miscela di erbe allucinogene tuttora illegale, sempre per via del DMT ivi contenuto. Tuttavia nel 2006 la Corte Suprema statunitense ha sentenziato a favore dell’uso religioso per le poche centinaia di seguaci della Unio do Vegetal sparsi in una mezza dozzina di stati Usa, e lo stesso ha fatto una Corte d’appello per la Chiesa del Santo Daime nell’area di Ashland, in Oregon.
E proprio in Francia, nel novembre 1999, sono stati arrestati i dirigenti del Santo Daime, poi rimasti in prigione per tre mesi, finché il 13 gennaio 2005, la Corte d’Appello di Parigi li ha prosciolti temporaneamente solo perché quelle piante non erano ancora incluse nella Tabella I, aprendo così la strada alla normativa più ampia e restrittiva approvata nel maggio 2005 (e su cui si fonda anche questa manovra italiana). [Ciò a correzione della precedente versione di questo nostro articolo che riprendeva una notizia incompleta riportata su Wikipedia].
Al riguardo, sottolinea Leonardo Montecchi, Direttore della Scuola Josè Bleger di Rimini: «Come si farà con la libertà di religione sancita dalla costituzione? Dovremo vedere ancora la persecuzione dei fedeli della chiesa del Santo Daime? Prepariamoci alla solidarietà attiva nei loro confronti. E come la mettiamo con le ricerche cliniche del centro Takiwasi che riguardano l’uso della ayauascha nella cura della dipendenza da sostanze e nelle psicosi? Tutto questo è peggio di un crimine, è un grosso errore».
E come previsto, il 21 marzo arriva la notizia che la congregazione italiana del Santo Daime “sospende la somministrazione del sacramento”.
Da notare inoltre che l’uso cerimoniale e terapeutico della bevanda è ufficialmente riconosciuto anche dalle autorità peruviane, ribadendo fra l’altro che «l’ayahuasca è una pianta il cui uso tradizionale va tutelato, non criminalizzato, radicata com’ nella tradizione culturale di tanti milioni di indigeni e può rivelarsi un prezioso strumento spirituale per milioni di occidentali, sia in base alla scoperta del suo valore scientifico sia per proteggere l’espressione della diversità e
dell’arricchimento culturale».
Ovviamente questo boom internazionale sta producendo anche aspetti meno positivi. A partire dal cosiddetto “turismo sciamanico”, con epicentro nell’area di Iquitos, la maggior metropoli nell’area nord-est del Perù, che si è rivelato un’arma a doppio taglio: beneficia molta gente del posto e mantiene viva la tradizione, ma innesca anche fenomeni di espropriazione culturale, attira gente danarosa e/o con pochi scrupoli, e motiva una pruriginosa attenzione mediatica. C’è chi prende l’areo e partecipa alle cerimonie alla ricerca del “miracolo” per tumori o altri disturbi psicosomatici senza prima informarsi adeguatamente, né sono mancati incidenti purtroppo anche mortali (dal 2012 almeno sette deceduti in Perù, pur se non direttamente legate agli effetti delle sostanze in sé) e recenti casi di abusi sessuali – con entità locali autogestite quali Ayahuasca Safety Association, Ethnobotanical Stewardship Council, e Iceers impegnate ad evitare il ripetersi di casi simili e l’implementazione di protocolli di sicurezza.
Non mancano comunque gli “ayahuasqueros o curanderos” che tengono rituali in ogni parte del mondo, oltre a svariate produzioni letterarie – tra cui l’antologia italiana Ayahuasca. Dall’Amazzonia all’Italia (Shake, 2021) – e cinematografiche, come l’ormai classica pellicola del 2010, Ayahuasca: Vine of the Soul, ovviamente in aggiunta alle copiose risorse online.
Se dunque il fenomeno presenta anche delle ombre, come l’intero comparto della medicina, psichedelica o meno, e come ogni altra questione complessa del nostro tempo, soprattutto a livello giuridico urge un approccio attento e informato, avviando un ampio dialogo tra gli esperti, i consumatori e le istituzioni, piuttosto che buttar via il bambino con l’acqua sporca con simili decreti. Ovvero, citando ancora Riccardo Zerbetto: «Tra una liberalizzazione indiscriminata ed un altrettanto indiscriminato proibizionismo, non si è ancora giunti nella cultura “moderna” ad una mediazione che consenta l’accesso ad esperienze percettive ed autoesplorative di grande potenzialità, come attesta una vastissima letteratura in ambito sia antropologico-religioso, che di ricerca sugli stati di coscienza, di cui la società contemporanea si è privata se non con esperienze ai margini della legalità».
Ancor più alla luce dei progressi della medicina psichedelica e delle prime depenalizzazioni delle piante-medicina in vari stati USA, è il caso di ristabilire forme di legalità nell’uso delle “droghe”, inclusive di politiche di riduzione del danno e corrette campagne informative, anziché uscirsene con anacronistici decreti proibizionisti. Nella speranza che questi non creino ulteriori problemi legali o sociali, ma che anche in Italia i legislatori vogliano aggiornarsi sull’intera questione e avviare un costruttivo confronto con la società civile.
Come ribadisce, in conclusione, Alessandro Novazio, coordinatore di Psy*Co*Re: «Il nostro è un network inclusivo con pareri e posizioni a volte non totalmente omogenee ma animato dalla ricerca di un minimo comune denominatore e dove i diritti alla libertà cognitiva, alla salute e ovviamente alla ricerca sono sicuramente alcuni di questi punti condivisi (come indicato nel nostro Manifesto). Provvedimenti come questo invece vanno nella direzione opposta. Vero è che in mancanza di quella che abbiamo definito ”maturità psichedelica”, concetto che deve valere sia per le istituzioni che per la base, non c’è da stupirsi di tali provvedimenti in conseguenza del proliferare di offerte di cerimonie di ogni tipo con “taita” e sciamani estemporanei anche nel nostro Paese. Un segnale chiaro che si deve lavorare tutti insieme per creare un ”setting maturo”, magari aprendo un dialogo con le istituzioni. Decreti draconiani o atteggiamenti antagonisti non sono certo l’approccio giusto».