Osservatorio Media 1: a proposito di ayahuasca e informazione

Dopo il lancio della rubrica di etnobotanica, inauguriamo un nuovo spazio periodico dedicato al  fact-checking su quanto viene pubblicato sui media italiani riguardo alle sostanze cosiddette “psichedeliche” e dintorni. Come ulteriore passo nel percorso collettivo “verso la maturità psichedelica“, proveremo a offrire una lettura critica costruttiva, puntando su un approccio obiettivo ed epistemico, multivocale e riflessivo. Con il caldo invito a commentare  liberamente in calce al post stesso (evitando, come sempre, le polemiche e attendendosi a dati oggettivi e fonti verificabili).

La scelta di questa prima uscita della rubrica è stata quasi casuale, visto che recentemente sul web italiano ha preso a circolare, in modo apparentemente inspiegabile, questo articolo risalente al febbraio 2020, oltre a un recente servizio de Le Iene (su Italia 1) che ha riproposto il medesimo episodio di Fiuggi. A scanso di equivoci, quindi, la nostra analisi non ha nulla di personale nei confronti del giornalista, né del giornale con cui collabora(va). Buona lettura!


Viste le ormai frequenti incursioni dei media mainstream sulla psichedelia, ci è parso utile sintetizzare qui di seguito il quadro complessivo di questo ambito specifico, a partire dal fact-checking di un intervento risalente a circa un anno fa che esemplifica l’approccio della “grande informazione” in Italia.

Ayahuasca (da Wikipedia) Apparso sul sito web de Il Giornale, a firma di Paolo Manzo, corrispondente dal Brasile, l’articolo prende le mosse da un fatto di cronaca: “Allarme ayahuasca, la droga letale «indigena» sbarca in Italia. Durante un controllo antidroga i Carabinieri hanno infatti sequestrato venerdì scorso in un appartamento di Fiuggi capsule contenenti all’interno polvere di ayahuasca. Denunciati a piede libero per «produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti», un 25enne di Aprilia, un 35enne svedese, un 40enne trevigiano e un 24enne di Roma”.

Tuttavia del caso specifico nulla viene detto, anche se parrebbe rilevante: abbiamo contattato uno dei denunciati, che ci ha spiegato com’è andata. I carabinieri, in parte in divisa in parte in borghese, si sono presentati con un mandato di perquisizione presso un casale dove il gruppo Ayahuasca Italia svolgeva ritiri e sessioni private. Il mandato di perquisizione era stato però emesso per tutt’altro motivo: le forze dell’ordine erano alla ricerca della pianta dell’iboga. Questo verosimilmente perché il gruppo italiano fa parte di una rete più estesa, che in altri Paesi propone nei suoi ritiri anche la pianta di origine africana.

I carabinieri hanno quindi proceduto al sequestro di numerose sostanze (tra cui rapé, incensi, resine, mambe) e hanno denunciato le persone coinvolte, che rimangono in attesa del risultato delle indagini chimiche. Tra queste, c’è anche un ridotto quantitativo di ayahuasca, in forma di decotto, quindi non «capsule contenenti all’interno polvere di ayahuasca», come si legge nell’articolo.  Si noti che il gruppo in oggetto è già stato, in più occasioni, criticato e la sua attività risulta per molti versi censurabile.

Certamente non ne vanno nascosti gli utilizzi ambigui e i “curanderos” senza scrupoli, bensì denunciati e puntualizzati correttamente, anche e soprattutto per chi ne sa poco. In tal senso va ricordata la dichiarazione di oltre cento accademici, attivi sul campo, in appoggio al popolo Cofan, in una diatriba emersa nell’estate 2015 che coinvolgeva Alberto José Varela, a capo dell’organizzazione Ayahuasca International e del suo ovvio modello iper-commerciale.

Procediamo ora a una disamina di quanto affermato nell’articolo italiano di cui sopra. (>> Continua qui…>>)

1. L’ayahuasca sarebbe «oggi ingurgitata soprattutto da occidentali»: affermazione che non risulta in alcun modo confermata dalla ricerca antropologica sul campo. Si ritiene, anzi, che la pozione, a differenza di altre sostanze, sia strettamente legata al contesto culturale e religioso nel quale viene prodotta e utilizzata: la foresta amazzonica. È tuttavia vero che il fenomeno del “turismo dell’ayahuasca”, ormai da vari anni, va innescando dinamiche complesse, decisamente non solo benefiche, soprattutto per le comunità indigene interessate. Comunque, come già menzionato, nel fatto di cronaca riportato si è sequestrato un ridotto quantitativo del decotto in forma liquida, quindi non «polvere di ayahuasca».

Si prosegue definendola «droga dagli effetti devastanti». Il massimo esperto etnobotanico italiano, Giorgio Samorini, nei due volumi del 2019 Terapie Psichedeliche, curato insieme ad Adriana D’Arienzo, specialista anestesiologa esperta in neurofarmacologia, riporta che, sulla base degli studi scientifici, «la ricetta classica dell’ayahuasca, composta delle sole piante B. caapi e P. viridis, sembra ragionevolmente sicura in termini di impatto fisiologico quando somministrata a individui in buone condizioni di salute. Gli effetti collaterali più frequenti sono la nausea e il vomito, soprattutto se le dosi vengono ripetute nell’ambito della medesima sessione» (p. 459).

Altresì dimostrata in numerosi studi scientifici la sua utilità nel curare la depressione (op. cit., pp. 492 ss.), come le dipendenze (pp. 522 ss.), in particolare da alcol e da tabacco, come anche da cocaina e da eroina. Vengono altresì segnalati gli studi condotti in merito, i meccanismi d’azione farmacologica e le proprietà terapeutiche, che vanno dalla cura delle dipendenze alla sua efficacia nel Parkinsonismo (pp. 579 ss.) e in altre patologie neurodegenerative, dalla terapia del cancro (pp. 573 ss.), ai disturbi dell’alimentazione (pp. 605 ss.) e come antidiabetico.

Sulla base degli studi compiuti risulta che, in particolare «nelle comunità tradizionali e religiose che usano l’ayahuasca come sacramento è stato osservato un particolare benessere psicologico, una maggiore consapevolezza dei propri limiti e delle proprie risorse, una predisposizione alla vita di gruppo e alla collaborazione, un miglioramento dei disturbi precedenti all’ingresso nel gruppo – dipendenze comprese – e questo benessere si mantiene nel corso degli anni» (pp. 529 ss.), tant’è vero che ci sono numerosi centri di terapia che usano l’ayahuasca (pp. 524 ss.).

2. «L’Ayahuasca sarebbe un «potentissimo allucinogeno che contiene DMT in quantità». Pur essendo vero che il DMT è tra le più potenti sostanze psichedeliche, normalmente, sempre sulla base delle rilevazioni fatte, nell’Ayahuasca la percentuale di DMT risulta estremamente ridotta. Menozzi, nel suo libro del 2013 Ayahuasca, la liana degli spiriti, riporta una tabella che elenca una dozzina di rilevamenti della concentrazione di alcaloidi in diverse partite di ayahuasca, riportando una media di DMT dello 0,048% (p. 198). Queste rilevazioni sono state condotte da vari ricercatori su campioni provenienti da gruppi diversi (di vari gruppi indigeni, dell’União do Vegetal e del Santo Daime).

Certo, la dimetiltriptammina (DMT) è, come scrive Paolo Manzo, una sostanza vietata a livello internazionale, inserita nella tabella I della Convenzione sugli stupefacenti dell’ONU, quindi ne è vietata, oltre a produzione detenzione utilizzo vendita, anche la ricerca clinica. L’autore prosegue però affermando che «è invece legale nei paesi latinoamericani»: non è così, perché anche i paesi dell’America Latina aderiscono alla Convenzione ONU. Quindi anche in quelle regioni il DMT è illegale. Ciò che non è illegale è l’ayahuasca: per esempio in Perù è un patrimonio nazionale, in Brasile ne è lecito l’uso rituale religioso.

Manzo sembra confondere l’ayahuasca con il DMT in essa contenuto, come si è già visto, in quantità molto ridotte. E aggiunge che il DMT sarebbe legale nei paesi latinoamericani «a causa del Santo Daime, un culto sciamanico». Ma è piuttosto l’uso religioso dell’ayahuasca (non del DMT!) che, dopo lunghi anni di battaglie e feroci discriminazioni, ha trovato la via della legalità, in accordo con le autorità governative brasiliane. Tra l’altro, l’iniziativa per la legalizzazione venne soprattutto propiziata dalla União do Vegetal (UDV), un’altra religione ayahuasquera, e non dal Santo Daime.

Più nello specifico, è fuorviante definirlo «culto sciamanico», essendo piuttosto una chiesa sincretica che è parte integrante del panorama spirituale e religioso brasiliano, riconosciuta e rispettata dai governi e dalle altre congregazioni religiose, che ha conosciuto negli ultimi 30 anni una diffusione in tutti i continenti del mondo.

Sulla Dottrina della Foresta e il Santo Daime, si veda Menozzi (op. cit., pp. 109 ss.). Dove si riporta (pp. 106-7) che numerosi antropologi concordino nell’identificare il Santo Daime come “sistema sciamanico”, in cui si avrebbe un esempio di “sciamanesimo collettivo”, presentando numerose corrispondenze con le pratiche di tipo sciamanico (seguendo la definizione di Eliade delle “tecniche primordiali dell’estasi”, in particolare il volo per la regione degli spiriti, lo smembramento iniziatico, il processo di sofferenza morte e risurrezione). Ricordando però che questa è soltanto una delle componenti del particolare sincretismo che caratterizza il Santo Daime (op. cit., pp. 140-146).

Sul tema della processo di legalizzazione in Brasile, sempre Menozzi riferisce che «dopo una provvisoria inclusione della Banisteriopsis caapi nella lista delle sostanze proibite nel 1985, gli organi governativi responsabili del controllo in materia di stupefacenti hanno riconosciuto legalmente il diritto all’uso rituale dell’ayahuasca dopo un’approfondita analisi multidisciplinare che ha visto giuristi, psichiatri, medici e sociologi studiare per due anni le comunità religiose utilizzatrici e verificando personalmente, partecipando ai rituali e assumendo ayahuasca, di che cosa si trattasse realmente» (pp. 282 ss.).

Le ricerche hanno avuto esito positivo e hanno permesso la prosecuzione pacifica e indisturbata della ritualità e della vita religiosa comunitaria del gruppo. Vent’anni dopo, in seguito a ulteriori conferme dal punto di vista medico-scientifico sulla non pericolosità della sostanza, gli organi governativi hanno legiferato, in accordo con le varie congregazioni religiose, in maniera puntuale a tutela dell’uso rituale. Nel 2004, con la Risoluzione n. 4, il CONAD (Consiglio Nazionale Antidroga del Governo brasiliano – ex CONFEN) ha deliberato un regolamento con cui si riconosce appieno l’uso rituale dell’ayahuasca, prevedendo anche l’istituzione di un Gruppo multidisciplinare di lavoro per la ricerca dell’uso terapeutico dell’ayahuasca (p. 262).

In Italia lo status legale dell’Ayahuasca è materia controversa, come nella maggior parte degli altri paesi europei. Ad oggi non esiste alcuna legge o decreto che sancisca un espresso divieto riguardo all’utilizzo, al commercio o alla somministrazione a terzi dell’ayahuasca in sé e per sé: tuttavia la presenza di DMT (inserita nella Tabella I allegata al Testo Unico sugli stupefacenti, DPR 390/90) al suo interno la rende passibile di interpretazioni discordanti.

La Corte di Cassazione si è espressa con un’importante pronuncia (sentenza n. 44229/2005), constatando che, non essendo le piante di provenienza vietate, l’ayahuasca, in quanto semplice miscela delle stesse, non poteva di per sé ritenersi uno stupefacente per l’ordinamento italiano. Tuttavia, una preparazione (in questo caso si intende il decotto), se contenente sostanza tabellata come in questo caso, sarebbe, in via teorica, vietata. La Corte ha, specificando, statuito che se una tale preparazione non si limita ad essere un semplice “processo derivativo”, ma rende piuttosto possibile un potenziamento degli effetti della DMT rispetto alle piante al naturale, è perseguibile penalmente. Tale formulazione, che qui si semplifica, è tratta da una lunga argomentazione delle Suprema Corte, non priva di ambiguità, che ha dato esiti contrastanti nei singoli processi di merito. In particolare perché l’accertamento di un potenziamento (anche definito dalla Corte “surplus di incidenza del principio attivo”) nel caso specifico può dare luogo a sequestri e indagini, fino a instradare processi penali.

Tendenzialmente i sequestri, in particolare in occasione di importazioni o spedizioni postali, hanno portato all’ archiviazione giudiziaria e alla restituzione della sostanza sequestrata – pur se alcuni processi sono ancora in corso.

Tornando ancora all’articolo di Paolo Manzo, non risulta un uso del termine «droga di Dio» per l’ayahuasca, come non è corretto dire che Ayahuasca “in portoghese significa «Dai-me»”, è piuttosto uno dei tanti nomi della bevanda (altri sono yagé, kamarampi, capi, iko, natema, unì, etc.), usato nel contesto di quei particolari gruppi. Il termine “ayahuasca” viene solitamente tradotto in italiano con “liana degli spiriti” (Menozzi, op. cit., p. 14). Il termine “Dai-me” deriverebbe invece dall’invocazione fatta da Raimundo Irineu Serra, fondatore della religione ayahuasquera del Santo Daime, rivolta alla Regina della Foresta al momento della sua iniziazione: “Dai-me o perdão” (perdonami). Frequenti, in particolare, negli inni del Santo Daime, le invocazioni “Dai-me Luz, Dai-me Amor, Dai-me Paz!” (dammi luce, dammi amore, dammi pace).

3. Nell’articolo si legge anche : Il «thè» viene preparato dai membri della setta del Santo Daime con una cerimonia che dura una settimana, nel corso di una celebrazione chiamata «feitio». Quest’aspetto è meritevole di approfondimento, rimanendo spesso tralasciato: il feitio è infatti uno dei più importanti lavori spirituali (trabalho espiritual) del Santo Daime, se non il più importante, essendo la preparazione, altamente ritualizzata e strutturata, della bevanda sacra. Tale preparazione è pregna di significati simbolici e sacramentali (in termini di una consacrazione, di un’“alchimia divina”) e viene compiuta in specifici momenti, in relazione alle fasi lunari, in un edificio appositamente adibito allo scopo, secondo le istruzioni lasciate dal fondatore Raimundo Irineu Serra (Menozzi, op. cit., pp. 135 ss.).

4. Per quanto Paolo Manzo faccia riferimento a «morti causate da questa droga», la letteratura antropologica non segnala alcun decesso direttamente causato dall’ingestione della pozione (l’overdose è praticamente impossibile), ma è vero che se ne sono registrati alcuni le cui circostanze avevano a che fare con tali cerimonie.

In parte si tratta di effetti indiretti e/o casi in cui all’ayahuasca erano state aggiunte altre piante: tabacco mapacho (Nicotiana rustica), e/o piante ad effetto delirogeno come la toè, detta anche floripondio (Brugmansia suaveolens), o il chiric sanango (Brunfelsia grandiflora). L’aggiunta di queste piante, usate nella tradizione indigena e vegetalista, può apportare rischi specifici. Nel caso delle religioni sincretiche ayahuasquere, come nella maggior parte degli usi “neo-sciamanici” o terapeutici, si usa l’ayahuasca nella sua ricetta “classica”, a base della liana Banisteriopsis caapi e della foglia della Psycotria Viridis, in pochi casi a quest’ultima si sostituisce la Diplopterys cabrerana. In Brasile i gruppi religiosi che usano ritualmente il decotto si sono accordati con le autorità, garantendo l’utilizzo esclusivo di quest’ultima ricetta, fissando così uno standard da questo punto di vista, prevedendo anche un codice etico generalmente applicato in materia.

È quindi importante, anche solo per dovere d’informazione, ricordare che l’assunzione di questa bevanda impone particolari cautele, da più punti di vista, che non si tratta di una medicina adatta tutti e che l’uso può comportare dei rischi.

Dal punto di vista fisico, le beta-carboline contenute hanno un effetto inibitorio sulle monoammino ossidasi (MAO), e la combinazione di queste con certi cibi contenenti tiramina può produrre crisi ipertensive. Così pure la combinazione con altre sostanze chimiche (farmaci o droghe d’abuso) può comportare rischi significativi. In particolare la combinazione dei MAO-inibitori con gli psicofarmaci SSRI (selective serotonin reuptake inhibitors, inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) e con altri antidepressivi può produrre una sindrome serotoninergica.

Dal punto di vista psicologico, gli effetti psichedelici dell’ayahuasca possono essere molto intensi, innescando un’esperienza interiore profonda, catartica e trasformativa: non è raro che si diano stati d’animo di paura o di angoscia in certi passaggi (bad trip). Queste situazioni normalmente si risolvono con il passare dell’effetto.

Tuttavia si possono dare casi di forte abreazione psicologica anche dopo l’esperienza, come attacchi di panico, paura di morire o di impazzire, in alcuni casi sintomi di psicosi. Si noti che i maggiori rischi non si danno sul versante tossicologico, ma da quello psicologico. Questi rischi non si danno in contesti strutturati e organizzati (setting), nei quali i partecipanti vengono sottoposti a uno screening sulla loro storia personale, sulle eventuali patologie anche pregresse, con attenzione all’intento che motiva l’assunzione (set).

Questi screening sono anche volti a escludere in via precauzionale chi ha diagnosi di schizofrenia o di disordine bipolare – persone a cui si sconsiglia, tendenzialmente, di partecipare.

Quanto detto porta generalmente a consigliare l’assunzione in un contesto rituale o terapeutico, scegliendo una persona competente e affidabile, dato che l’esperienza dipende in modo rilevante da dal modo con cui viene guidata, dalle dinamiche relazionali complessive se in gruppo, e dal mantenimento di un contesto eticamente e moralmente appropriato. Si sottolinea questo aspetto, perché i casi di malpractice, si è visto in più occasioni, possono anche finire molto male.

4. Né facile, né allucinata, né assassina. Riconoscendo che, in alcuni casi, questa pericolosissima polvere (che è un decotto) può fare uscire di senno – soprattutto, evidentemente, chi ne parla senza sapere ciò di cui parla – si vuole qui interpretare la richiesta del Manzo di chiarire i rischi che corre chi assume questa sostanza come una disperata richiesta di aiuto, cui vogliamo dar seguito.

Chiarite le grossolanità, imprecisioni e falsità che vengono immesse nell’opinione pubblica da parte dei mezzi d’informazione, esemplificate nell’articolo di cui qui si è voluto (dovuto!) fare il fact-checking, si potrà procedere a una più chiara e seria esposizione di che cos’è, da dove viene e quali effetti ha la misteriosa bevanda amazzonica dell’Ayahuasca.

 

Bibliografia italiana:

Siti web utili:

2 commenti su “Osservatorio Media 1: a proposito di ayahuasca e informazione”

  1. Sono molto d’accordo con questo articolo. Quello che che viene citato è confermato anche dalla bibliografia di tutti gli studi che sono stati fatti su questa Medicina: l’ayahuasca, sia nell’uso sciamanico, sia nell’uso fatto a livello locale e sia quello della chiesa del Santo Daime hanno confermato il beneficio per chi ne fa uso. Si parla di studi fatti a lungo termine, soprattutto guardando a come la vita delle persone può essere cambiata in positivo o in negativo utilizzando questa Medicina. Si può vedere che sia adolescenti con problemi che persone depresse fino ai tossicodipendenti, tutti hanno trovato giovamento da un uso continuativo anche protratto per anni per riuscire a sanare le proprie problematiche. Quello che viene detto dal main stream oltre che essere molte volte falso è anche fuorviante da quello che è è il vero scopo nell’utilizzo di questa Medicina come viene detta dalle popolazioni indigene del Sud America. Quei pochi casi citati nell’articolo di giornale in cui si parla di appunto 6 morti in quasi 20 anni e per vari fattori possono essere fatti terribili però sporadici e in realtà sulla larga maggioranza degli utilizzatori si sono visti effetti estremamente positivi sulla qualità della vita. Per cui ringrazio per questo articolo che chiarisce e smentisce vari punti scritti sul giornale perché l’utilizzo dell’ayahuasca fatto nei giusti contesti e con i giusti operatori può essere veramente qualcosa che ti cambia la vita. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/17532158/

    • Grazie Katia. Nel tuo commento fai riferimento a una bibliografia e a studi scientifici. Potresti postare direttamente qui i riferimenti a questi lavori? Sarebbe molto utile per il lettore interessato all’argomento.

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