Etnobotanica 15: Tagetes Lucida: spezia o psicotropo?

Tagetes Lucida La Tagetes lucida è stata impiegata dagli antichi Aztechi per la preparazione di un incenso rituale sacrificale chiamato yyauhtl che veniva soffiato sulle faccie dei prigionieri al fine di stordirli prima del rogo. Con la pianta fresca facevano infusi per alleviare diarrea, singhiozzo ed esternamente come lozione per bruciature. Veniva considerata la rappresentazione di Xochipilli, il dio delle piante psicoattive.
Fra i vari ritrovamenti, è stato rinvenuto un vaso di ceramica risalente al periodo classico Maya che raffigura un fiore giallo a cinque petali molto simile alla pianta, i loro sacerdoti ne facevano un te sacro per le divinazioni noto come balchè. I Mixe, i nativi dello stato nord-occidentale messicano di Oaxaca, preparano ancora oggi un infuso simile con nove fiori [1].

Trattasi di una delle piante più sacre per i nativi di Messico ed America Centrale che la conoscono con tanti nomi diversi: yauhtli, pericón, Saint Miguel, mangy, flor de Santa María e yerba anís per l’aroma simile all’anice. Viene usata come spezia, ornamento cerimoniale e medicina.

In base a quanto riportano gli Huicholes, renderebbe il fumo di tabacco più gentile sulla gola e induce uno stato caratterizzato da quiescienza, nausea, vomito e visioni ad occhi chiusi simile all’intossiccazione da peyote. La sessioni di fumo accompagnano spesso l’ingestione di peyote, fermentati alcolici locali e distillati a base di cactus che rendono le visioni molto più intense [3].

Ancora oggi viene indicata nella medicina popolare Messicana contro insonnia, debolezza, scarsa libido, reumatismi, prurito, crampi addominali, disturbi gastrici, coliche, ulcere, dolori muscolari, febbre, raffreddore, morsi di serpente e per la produzione di latte. Viene bruciata inoltre come incenso cerimoniale. In Argentina bevono il decotto di foglie come antitussivo e lo applicano localmente per repellere gli insetti [2]. Durante la colonizzazione spagnola sembra sia stata usata per curare i malati di mente.

POTENZIALITA’ PSICOTROPE
Circola parecchia disinformazione sulle potenzialità allucinogene di questa pianta: alcuni sostengono che contenga delle sostanze simili all’LSD, altri dei terpeni neoclerodanici come la salvinorina della Salvia divinorum.

La seconda teoria è molto diffusa e si deve a Christian Ratsch che, nella nota Encyclopedia of Psychoactive Plants: Ethnopharmacology and Its Applications (2005), segnala come queste sostanze salvinoriniche siano presenti in tutte le specie di Tagetes sebbene non siano ancora state identificate con precisione. Ad oggi non c’è assulutamente niente che ne suggerisca la presenza, essendo stati isolati soltanto dei diterpeni monociclici dalla Tagetes minuta di cui sono note solo le potenzialità citotossiche [3].

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Breaking Convention 2023

Breaking Convention Si è svolta nello scorso weekend presso l’Università di Exeter (contea di Devon, sud-ovest dell’Inghilterra) la sesta edizione della Breaking Convention, evento bi-annuale dedicato ai molteplici aspetti dell’universo psichedelico e autodefinitasi “il più grande convegno europeo sulla consapevolezza psichedelica”. Con oltre 200 tra relatori e animatori,  davanti a un pubblico pagante di oltre un migliaio di persone, entrambi provenienti da ogni parte del mondo, l’evento ha presentato in primis le ultimissime sulla ricerca scientifica, oltre a una varietà di interventi e discussioni che abbracciavano sociologia, legge, politica, arte, storia e filosofia e altri campi. Né sono mancati workshop, filmati, installazioni, spazi artistici e quant’altro.

Oltre a quest’ottimo resoconto di Lucid News, le prime reazioni sui social media (YouTube e Facebook) confermano gli entusiami della vigilia – in attesa di poter seguire direttamente, per chi non c’era, le videoregistrazioni di interventi e situazioni dipanatasi nella tre giorni. E d’altronde basta dare un’occhiata al programma completo e all’elenco degli speaker (in senso lato) per confermare l’indiscussa importanza dell’evento.

Fra i tanti “nomi illustri”, da segnalare: l’apertura di Jonathan Ott, pionere dell’etnobotanica, ideatore del termine “enteogeno” nonché traduttore (in inglese) dello storico LSD: My Problem Child di Albert Hofmann (1980); un intervento sulla necessità della metafisica nella ricerca e nella terapia psichedelica curato dal “filosofo della mente” Peter Sjöstedt-Hughes (membro del comitato scientifico di Psy*Co*Re); un excursus su psichedelici e la ricerca della vita dopo la morte proposta da Graham Hancock, noto esperto britannico sulle civilizzazioni antiche e le terre perdute; una conversazione a tutto campo tra Amanda Feilding (fondatrice della Beckley Foundation, maggior sponsor dell’evento) e David Luke; vari protagonisti della scena USA quali  Paul Stamets (Fungi Perfecti) e Rick Doblin (Maps).

Da notare infine la presenza di vari relatori italiani – intervenuti anche nelle varie edizioni degli Stati Generali della Psichedelia in Italia – tra cui Tommaso Barba & Bruna Gibaldi (“A New Summer of Love: long-term effects of psychedelic drugs on sexual functioning and satisfaction in healthy and depressed subjects”), Marta Santuccio (“Perspectival Neutral Monism and Psychedelic Experience”), Giorgia Gaia (“Kaos, Kilowatt & Ketamine: Spiritualities and Psychedelics in the Free Tekno Movement”), Chiara Baldini (“Mysticism, escapism, or activism? Spirituality and politics in festivals today”).

 

Respinto il ricorso sulla “tabellizzazione” dell’ayahuasca

Rispetto all’inclusione da parte del governo italiano tra le sostanze proibite delle due piante da cui vengono estratti i principi attivi (armalina, armina e DMT) dell’ayahuasca, arriva ora la (prevista) notizia che il TAR del Lazio ha respinto il ricorso della ICEFLU — come riporta FuoriLuogo:

Con la sentenza 06031/2023 pubblicata oggi il TAR del Lazio ha respinto il ricorso contro l’inserimento da parte del Ministero della Salute dell’Ayahuasca nella tabella I delle sostanze illegali regolate dal Testo Unico sulle droghe. Ne ha dato notizia in una nota la Chiesa Italiana del Culto Eclettico della Fluente Luce Universale (ICEFLU) che valuterà quali iniziative intraprendere a seguito di questa decisione.

I giudici amministrativi pur rilevando come “l’ayahuasca e le piante in essa contenute non sono internazionalmente proibite dalla convenzione sulle sostanze psicotrope del 1971” hanno valutato che ai sensi del DPR 309/90 lo Stato possa inserire fra le sostanze illegali anche quelle non inserite nelle tabelle internazionali ma ritenute potenzialmente a rischio per la salute a seguito di “nuove acquisizioni scientifiche.” (art. 14, DPR 309/90). Non hanno convinto i magistrati nemmeno le contestazioni rispetto all’istruttoria, che per i ricorrenti non avrebbe tenuto conto degli studi sulla sostanza. Per il TAR del Lazio il parere di Istituto Superiore della Sanità e Consiglio superiore di sanità (quest’ultimo di nomina governativa) sono di per sè sufficienti a integrare l’iter preparatorio, insieme alle (due) segnalazioni del Sistema di allerta rapida e di ulteriori due segnalazioni di intossicazioni da parte del Centro Anti Veleni di Pavia in oltre 10 anni.

Per i giudici i ricorrenti non sono riusciti a dimostrare che “nel caso dell’ayahuasca e dell’armina e armalina si tratti di un mero effetto onirico visionario, quale stato modificato della coscienza, e non invece di un effetto allucinogeno” che è uno dei motivi per l’inclusione delle sostanze in tabella I della Jervolino-Vassalli come sostenuto dal Ministero. E’ stata respinta anche la richiesta di deroga per l’uso sacramentale dell’ayahuasca, sottoposta dall’ICEFLU che non essendo prevista per legge per il Tribunale Amministrativo Regionale “costituirebbe un precedente astrattamente riferibile a un numero indefinito di situazioni e di sostanze, con ogni conseguenziale rischio per la salute pubblica, unica finalità perseguita dall’amministrazione con l’inserimento delle sostanze nelle tabelle di cui al d.P.R. n. 309/1990“.

Infine anche la questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 3 e 19 della Costituzione per i Giudici laziali “appare del tutto destituita di fondamento”. Oltre a non ritenere che il provvedimento violi il diritto religioso così come garantito dalla carta costituzionale il TAR richiama la sentenza 28167/2007 della Corte europea dei diritti dell’uomo che si era occupata di un caso analogo in cui una seguace del culto olandese che contestava il divieto di uso dell’ayahuasca durante le cerimonie. La Corte EDU nel caso specifico aveva stabilito “che il divieto di uso e consumo era da ritenersi legittimo in quanto non violativo dell’art. 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (nei medesimi termini, l’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea tutela altresì la libertà di pensiero, di coscienza e di religione) in considerazione della circostanza che il divieto di uso della bevanda è stato motivato dalla necessità della tutela della salute pubblica (e dell’ordine pubblico).”

Fact-checking: Changa, l’invenzione di un occidentale???

Changa blendRiprendiamo l’attività dell’Osservatorio Media, ovvero il “fact-checking” della scena psichedelica, avviata tempo fa esaminando un articolo dedicato all’ayahuasca, occupandoci qui di DMT e changa – sostanze che al pari dell’ayahuasca nel tempo hanno dato vita a diverse “leggende urbane”. Stavolta anzi ad alimentarle non è solo la vulgata popolare bensì proprio quanti, sia in Italia che all’estero, vengono percepiti come dei veri “esperti”.

È il caso dell’australiano Julian Palmer, che sulla base delle sue conoscenze personali, della sua limitata esperienza personale e di materiale autoreferenziale da lui scritto si è autoproclamato “il padre della changa“. Dichiarando altresì di aver concettualizzato in chiave occidentale questo preparato che potremmo definire una “ayahuasca fumabile” come uno spinello, quindi con una “ritualità” conforme alla nostra matrice culturale.

A metterci in guardia però su questa affermazione fu già un intervento di Giorgia Gaia nel corso degli Stati Generali della Psichedelia in Italia del 2021, quando spiegò brevemente come su questo tema si fosse accesa una forte polemica sui forum specializzati e che in realtà Julian non ne era l’inventore ma sicuramente uno dei maggiori divulgatori. Partendo da qui abbiamo pensato di andare a fondo sulla questione cercando di fare ulteriore chiarezza.

La changa è la combinazione di DMT e betacarboline da fumare in una base vegetale secca, e per certi versi non è altro che una “enhanced leaf”, cioè del materiale vegetale infuso con principi attivi. Sarebbe come appropriarsi dell’invenzione del decotto o della tintura alcolica. In ogni caso, il concetto e la pratica di mischiare questi due ingredienti specifici e fumarli è antichissimo, sembra anzi risalire a prima dell’anno 2000 a.C.. Ad esempio, nei siti Inca di Cueva e Huachichocana in Argentina sono state ritrovate due pipe d’osso di puma e dei semi di Anadenanthera e Prosopis (un genere contente betacarboline). L’analisi del materiale ha individuato la presenza di DMT [AA, DISTEL. “Hallazgo de un sitio aceramico en la Quebrada de Inca Cueva.(Provincia de Jujuy) Découverte d’un site sans céramique du ravin de Inca Cueva (Province de Jujuy).” Relaciones 7 (1973): 197-235.].

A quanto pare esiste pure una polvere da fiuto tradizionale chiamata “changa” usata nelle tribù amazzoniche Quetchua e Shipibo, che consiste in foglie di Banisteriopsis caapi  (già presenti nel decotto dell’ayahuasca) polverizzate e mescolate con altre piante triptaminiche.

Spostandosi in occidente, non mancano i resoconti degli anni ’90 pubblicati sulla Entheogen Review che documentano il consumo di changa. Lo stesso Jonathan Ott, famoso etnobotanico, scrive di aver fumato il DMT infuso su foglia di caapi in quegli anni. Nella storica Psichedelics Encyclopedia di Peter Stafford, risalente al 1977 e ripubblicata nel 1993, vengono descritte diverse erbe infuse col DMT destinate ad essere assunte tramite combustione.

Nel suo libro Frammenti di un insegnamento psichedelico (Spazio Interiore, 2017) Palmer ribadisce di essere il creatore della changa. È assurdo pensare che sembri più plausibile che questa combinazione di due piante amazzoniche sia stata scoperta non dai nativi che le consumano da sempre, ma da un australiano nel 2000. Claim of fame del genere richiedono un’attenta verifica o si rischia proprio di riscrivere la storia in base a quanto dice tizio o caio.

A dire il vero anche altri editori nostrani hanno pubblicato con una certa disinvoltura testi che in realtà richiedevano revisioni importanti, vedasi Pharmako/Gnosis di Dale Pendell (Add, 2022), venduto come grimorio da non perdere ma che sottoposto a verifica ha generato più di 8 cartelle di errori e inesattezze, come abbiamo subito segnalato. Ovvio che il forte ritorno d’interesse verso i risvolti dell’universo “psichedelia” abbia generato simili rilanci anche nel Bel Paese, ma occorre stare attenti. E molto.

Oscar Wilde diceva: «Non c’è una seconda occasione per fare una buona prima impressione». È un peccato che anche certi ambienti della psichedelia globale perdano questa occasione del «far buona la prima». Un peccato ancor più grande se consideriamo la delicatezza dell’argomento. Segnalateci altri argomenti da sottoporre a verifica. Se vi sta a cuore l’argomento, non esitate a scriverci!

Etnobotanica 14: Mandragora, magia e farmacologia

MandragoraMITO E STORIA

Il nome Mandragora deriva dal greco antico μανδραγόρας forse derivato dal persiano merdum gija, “pianta umana”, in riferimento alla forma antropomorfa. È una della più antiche e famose “piante magiche” del mondo, e nei miti delle varie culture svolge un ruolo ambivalente tra il benefico e il malefico.

Le illustrazioni dei fiori di loto (Nymphea sp.) ritrovate negli affreschi e nei papiri delle tombe in Egitto spesso comprendono anche immagini di mandragola, per esempio la tomba di Tutankhamon era raffigurato un faraone con due mandragore e una Nymphea in mano [1].
Il botanico e biologo americano William Emboden ha ipotizzato che che fossero utilizzati per indurre una trance sciamanica e nei rituali di cura [2].

Nel Medioevo si pensava che la morte stessa piantasse questa pianta e che prosperasse vicino alle forche dei supplizi dove si nutriva di sangue e dolore. Documenti dell’epoca riportano che nascesse dall’urina di un uomo ingiustamente impiccato per furto. Si credeva che portasse fortuna e prosperità ma potesse anche indurre alla follia se maneggiata in maniera impropria: veniva venduta come un amuleto molto prezioso ma era anche associata alla stregoneria e alle disgrazie [3].

Presso gli Anglosassoni aveva poteri magici contro le presenze demoniache e il suo odore le ripugnava, anche Apuleio nel suo Herbarium parla della possibilità di usarla negli esorcismi.

Il primo a menzionare una cerimonia d’estrazione specifica per questa pianta fu Teofrasto nella sua Historia plantarum: bisognava fare tre cerchi con una spada intorno alla mandragola, quindi si doveva scavare rivolti verso l’Ovest. Un altra persona nel frattempo doveva danzare in circolo e pronunciare delle formule afrodisiache.

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AMANITA MUSCARIA. Simboli, tradizioni, iconografia

Amanita Muscaria (Gianluca Toro)Appena pubblicato presso Nautilus Autoproduzioni l’ultimo lavoro di Gianluca Toro (chimico di professione in campo ambientale): AMANITA MUSCARIA. Simboli, tradizioni, iconografia (Pagine 296, Euro 18).

Tra le specie psicoattive l’Amanita muscaria  è sicuramente la piú rappresentativa per l’aspetto esteriore e per l’antica e persistente tradizione legata al suo uso in diverse popolazioni di origine siberiane, ariane e del Nuovo Mondo.

In Europa, Greci, Etruschi, Unni, Celti e berserker – gli antichi guerrieri scandinavi – potrebbero avere conosciuto le proprietà del fungo. Probabilmente nella stregoneria europea l’Amanita muscaria è stata un ingrediente in diverse preparazioni, anche alchemiche. Nella cultura popolare è presente nelle fiabe di diversi paesi, associata a fate, elfi, folletti e gnomi; è stata usata (e si usa tuttora) come insetticida, alimento e farmaco anche omeopatico.

Recentemente la ricerca farmacologica si è focalizzata sul muscimolo, i suoi analoghi, e su altri composti presenti nel fungo che potrebbero trovare applicazione microterapiche in dverse patologie.
Oltre che seguire le tracce – anche iconografiche – lasciate dalle popolazioni che sono venute in contatto con questo fungo, l’analisi degli aspetti chimici permetterà di comprendere e giustificare le diverse applicazioni sviluppate dall’uomo dalla preistoria fino ai giorni nostri.

Maggiori dettagli e ordinazioni sul sito di Nautilus Autoproduzioni.

Etnobotanica 13: Ayahuasca e DMT

Identificare la ricetta tradizionale originale dell’ayahuasca nella combinazione dei decotti di Banisteriopsis caapi e Psychotria viridis è un errore. Alcune tribù utilizzano infatti piante diverse: i Matsigenka evitano la viridis considerandola “cattiva” ed usano un altra specie di Psychotria ancora non identificata [1], i Waorani dell’Ecuador si servivano della sola Banisteriopsis muricata (che dovrebbe contenere MAO-I nella liana e triptamine nelle foglie) senza admixture fino al contatto recente con i coloni Quechua [2], sono anche stati trovati decotti contenenti soltanto betacarboline [3].

In base ad una ricerca recente le ricetta odierna si è evoluta nel corso di innumerevoli esperimenti che miravano alla ricerca di una sinergia tra le diverse componenti farmacologiche in particolar modo betacarboline e triptamine. Gli ingredienti di queste combinazioni variavano in base alla disponibilità locale delle piante, i metodi di somministrazione in base alla preferenza culturale specifica: sono stati registrate circa un centinaio di specie appartanenti a 4 famiglie botaniche diverse.

Diversi preparati come il vinho de jurema, yaraque, vino de cebil e le varie chicha allucinogene contano su dati etnografici antecedenti all’ayahuasca che viene menzionata soltanto in documenti relativamente recenti posteriori alla conquista Spagnola [4].

LA PURGA
ayahuascaLe betacarboline di cui sono particolarmente ricchi i decotti di ayahuasca tradizionali hanno proprietà antiparassitarie oltre che emetiche e sono particolarmente utili in Amazzonia dove i parassiti intestinali sono piuttosto comuni.

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Etnobotanica 12: Ruta, una specie psicotropa trascurata

Il genere Ruta comprende circa 10 specie, tutte altamente aromatiche. La graveolens e la chalapensis sono molto comuni nel Mediterraneo e nel subcontinente Indiano, sono molto simili, anche se distinguibili dalla forma delle foglie, e sono state confuse nei testi medievali e di medicina ayurvedica [1].

Ruta Queste piante presentano gli stami piegati verso la parte bassa dei petali durante l’inizio della fioritura, quindi si elevano lentamente verso il centro del fiore permettendo la deiscenza delle antere che abbandonano il centro del fiore prima che il ciclo ricominci per il prossimo stame. E’ stato inoltre osservato che in certi fiori tutti gli stami si alzano simultaneamente per avvolgere il pistillo alla fine dell’antesi dopo aver concluso i movimenti singoli.

Questa sequenza di animazioni prima individuale poi collettiva è la più complessa forma di movimento degli stami nelle angiosperme stando alle conoscenze attuali.
Una ricerca del 2012 ha dimostrato che il movimento singolo promuove la dispersione del polline presentandolo agli impllinatori ed impedisce che le antere deiscenti intralcino il processo, si ipotizza che quello finale collettivo rifletta un adattamento per l’autoimpollinazione ad azione tardiva [2].

ETNOGRAFIA E STORIA

La Ruta graveolens era estensivamente impiegata dagli antichi Greci in cucina; il famoso medico Ippocrate rispettava le sue qualità medicinali, Aristotele ne lodava la potente azione calmante. Mitridate del Ponto la consumò come antidoto per il veleno.
Dioscoride e Plinio il vecchio raccomandavano una pozione a base di ruta ed oleandro come antidoto contro il morso dei serpenti.

Nel Medioevo si credeva potesse migliorare la vista e smorzare la libido, era popolare tra le streghe che la impiegavano come ingrediente magico e le attribuivano un importante valore simbolico. Venne usata per preparare una pozione ritenuta miracolosa contro la peste nera; i giudici la portavano addosso quando entravano nelle carceri, noti focolai infettivi.
I cristiani usavano mazzetti di ruta per spargere l’acqua santa nelle chiese, gli ebrei chassidisti la indossavano come amuleto contro peste, epidemie, magia nera e malocchio.

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“Classici” della letteratura psichedelica da prendere con prudenza…

Non è certo un mistero che il forte ritorno d’interesse verso i risvolti dell’universo “psichedelia” anche nel Bel Paese vada trainando un’ondata editoriale del tutto inedita, dal recupero di “classici” mai tradotti a saggi ex novo a libri-manuali un po’ per tutti. Tendenza confermata negli ultimi mesi e variamente esplorata nella nostra sezione MindBooks (in contemporanea al Salone Internazionale del Libro di Torino). Inclusi alcuni volumi “storici” recentemente tradotti: LSD, l’innovativa ricerca psichedelica nei reami dellinconscio (Shake) di Stanislav Grof e Pharmako/Gnosis (Add) di Dale Pendell – pubblicati per la prima volta in inglese, rispettivamente, nel 1975 e nel 2005.

Testi sicuramente importanti, al pari di altri variamente parte del filone psichedelico, che meritano la traduzione, seppur tardiva, in particolare per i non addetti, i meno attenti e i più giovani. Eppure a volte sembra di essere di fronte a una tipica operazione di marketing e, quel che più conta, senza fornire contesti di lettura più ragionati o aggiornati, quindi essenziali per una fruizione più articolata e matura da parte del lettore odierno. Non ultimo perché soprattutto negli ultimi anni la ricerca scientifica, l’aneddotica sciolta e la copiosità di materiale disponibile (in particolare online) hanno variamente ampliato, corretto e/o negato certi contenuti di questi lavori pionieristici.

Ci sembra quindi importante segnalare anche le inesattezze o le lacune di questi testi. In primis, perché in tal modo si contribuisce alla riduzione del rischio e del danno, evitando esperienze negative per un possibile incauto sperimentatore e per il movimento tutto che sta cercando faticosamente, in Italia ancor più che nel mondo anglosassone, di correggere l’immagine negativa che certe sostanze conservano ancor’oggi nell’immaginario collettivo. Ciò inoltre garantisce massima trasparenza e credibilità a questo stesso movimento, con un approccio maturo e articolato per meglio puntualizzare i passi avanti intrapresi dalla scienza e dalla cultura psichedelica in generale, riconoscendo che il lavoro degli apprezzabili pionieri psichedelici oggi si rivela in parte superato e non privo di errori o grossonalità.

Nel nostro piccolo, abbiamo perciò deciso di “aggiornare” in tal senso il libro di Dale Pendell, affidando quest’operazione di revisione a Giuseppe Cazzetta, fisiologo dell’esercizio, studioso e coltivatore di prodotti etnobotanici e composti da ricerca, nonché responsabile della rubrica Etnobotanica su questo stesso sito web.  A partire da qualche riga di sintesi, seguito dai passaggi problematici (in inglese e corsivo) chiariti uno ad uno, con le relative note a margine, e una breve conclusione.

Un mistone di poesia, magia, alchimia, etnobotanica e filosofia condito con una base essenziale di farmacologia e chimica spolpata all’osso e spesso decontestualizzata o semplificata eccessivamente, che si propone come tentativo di registrare l’esperienza con diverse piante psicotrope o “alleati” in maniera puramente fenomenica riferendo quanto loro hanno da dire.

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Etnobotanica 11: Mulungu, l’ansiolitico della foresta brasiliana

Erythrina poeppigiana Il genere Erythrina comprende circa 115 specie distribuite tra Neotropici, Sud Africa, Himalaya e la parte più meridionale degli Stati Uniti. Sviluppano tutte delle profonde radici girevoli che permettono una rapida crescita, sono organismi pionieri per la successione ecologica in grado di sopravvivere in ambienti poveri promuovendo la formazione dell’humus per le specie più esigenti. Inoltre contribuiscono all’azotofissazione rendendo disponibile l’azoto ammonico (NH3) per le piante vicine [1].

Da citare il caso dell’Erythrina poeppigiana, largamente utilizzata come coltura da ombra per le piantagioni di cacao, che ha anche dimostrato di migliorare la qualità del terreno e della microfauna circostante [2].

ETNOGRAFIA
In Brasile la corteccia di mulugu viene ampiamente impiegata sotto forma di decotto, tintura alcolica o anche semplicemente polverizzato come tranquillante, sedativo, sonnifero, analgesico ed antinfiammatorio naturale [3]. Insieme al frutto viene indicata nel trattamento di tosse, eccesso di muco, vermi ed emorroidi [4].
Nella comunità rurale di Laginhas vicino a Rio Grande do Norte nella regione a Nordest consumano un infuso per lenire il mal di denti [5].
Un decotto a base di corteccia di Erythrina viene consumato dai Tanaca in Bolivia, da Cabecar e  Guaymi in America Centrale e Perù per curare emorragie, dismennorea, oltre che come purgante [6].
Viene usato anche come stimolante della produzione del latte, purgante, insetticida e veleno per pesci.

CHIMICA
Erythrina poeppigiana Ad oggi sono noti oltre 110 diversi alcaloidi isolati dalle diverse Erythrina, per correttezza qui ci limiteremo a quelli specifici per verna e velutina anche se si può ipotizzare che il fitocomplesso sia sicuramente più ricco di quanto attestato dai referti d’analisi esclusivi per queste due sole specie.

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