Nel nuovo ventennio, il fungo è tornato a parlare? O forse non ha mai smesso di farlo, pur se a modo suo? Un dilemma-esperienza che trova un brillante rilancio in un nuovo documentario svizzero, centrato sul rapporto fra il genere umano e quelli che potrebbero essere, secondo Terence McKenna, i nostri principali alleati per sfuggire all’autodistruzione. È così che vengono presentati i funghi in questa interessante opera, che coniuga ricerca scientifica ed artistica, insieme a molto altro. The Mushroom Speaks si colloca sul filone inaugurato dal documentario Fantastic Fungi (2019) ed è ispirato al libro L’ordine Nascosto (2020) di Merlin Sheldrake, riagganciandosi anche sul grande schermo all’odierno revival psichedelico.
Non a caso la stessa autrice, Marion Neumann, mi racconta, all’esterno della sala cinematografica occupata di Parigi “La Clé”, che l’ispirazione del film è stata squisitamente psichedelica. Senza però limitarsi ai soli funghi del genere
Psilocybe, il documentario espone svariate ricerche sul campo, fornendo una visione quanto più trasversale possibile della (meritata e necessaria) rivalutazione oggi in corso anche per il mondo fungino. Basti citare, per esempio, lo stimolante saggio
The Mushroom at the End of the World (2021) dove l’antropologa Anna Tsing spiega fra l’altro come certi funghi possono aiutarci a sopravvivere all’antropocene, per esempio ripulendo i territori contaminati da radiazioni nocive e altro.
Utilizzare i poteri fungini per aiutare l’umanità è un’idea sposata e applicata con solerzia dagli adepti alla “micologia radicale”: ricercatori, il più delle volte indipendenti, che sulla scia di Merlin Sheldrake e Paul Stamets conducono indagini sperimentali approfondite per applicare i saperi della micologia all’ecologia, all’agricoltura sostenibile, alla medicina e persino all’edilizia. Anche Peter Mcoy, considerato uno dei maggiori esponenti della micologia radicale, è tra i protagonisti del film, esprimendo chiaramente i suoi ideali post-umanisti: parla per conto dei funghi e promuove un’idea di uomo-ecosistema (colonie di funghi proliferano anche all’interno e all’esterno del nostro stesso corpo) che si affaccia su un misterioso abisso.
Nel film si incontrano anche monaci zen, psichiatri, micologhe e moderne streghe o erbarie, profonde conoscitrici del mondo vegetale. Ma soprattutto si incontra il popolo-funghi, che dal micelio al frutto la fanno da protagonista assoluti. Si apprendono così gli affascinanti misteri del sottosuolo, composto da segrete alleanze fra minerali, micelio e vegetali; l’evidenza per cui sono i funghi a permettere alle piante di prolificare, dando inizio a un nuovo ecosistema e scambiandosi informazioni; e come grazie ai funghi la materia viene decomposta per tornare potenza attiva, a conferma del fatto che proprio un fungo è l’essere vivente più grande e antico sulla terra. Nè manca lo spazio per sottolineare il potenziale di certi funghi “magici” di alterare la coscienza, tanto da essere considerato un valido alleato anche per il direttore di un monastero zen.
Il documentario punta decisamente a “far parlare” i funghi, da cui la scelta di non accompagnare i protagonisti umani con le didascalie proprie di un documentario divulgativo. Una scelta stilistica dalle tinte psichedeliche e post-umane, che intende quindi decostruire ogni forma di arrogante antropocentrismo. È grazie a questo spirito ecologico che Marion Neumann, insieme ad una rete multidisciplinare di psicologi, cineasti, artisti e psiconauti, intende fondare un centro di riferimento per l’arte psichedelica contemporanea.
Nel suo complesso il documentario abbraccia e rilancia l’espressione coerente della scena psichedelica attuale, dove la corrispondenza fra etica ed estetica ha un ruolo centrale. Lo condivide con Descending The Mountain, altra fresca opera cinematografica svizzera, con prossima distribuzione online, di cui si può intanto gustare la deliziosa colonna sonora. Delicata esplorazione al bivio tra gli effetti dei funghi psilocibinici e la natura della coscienza in senso lato, questo film propone una sintesi del tutto originale, integrando le esperienze del ricercatore Franz Vollenweider e del maestro Zen Vanja Palmers. I quali compaiono anche in questo The Mushroom Speaks, riuscendo a trasmettere il senso dell’esperienza mistico-psilocibinica espandendosi oltre i frattali e le fantasie kashmir per arrivare al cuore della mente scientifica e dell’occhio contemplatore (conquistandosi ampie lodi dalla comunità buddhista).
Che parlino o meno, l’universo fungino sembra dunque ispirare innovativi percorsi che integrano arte, letteratura, ricerca scientifica e spirituale. Un caleidoscopio che trova spazio anche in Italia, come rivela fra l’altro il primo numero della giovane rivista Axolotl (“Micelio”) o nel magazine indipendente siamomine, in cui viene presentata l’analogia fra la rete micorrizia ed il web. E, quel che più conta, quest’articolata rete di produzioni cultural-artistiche ci aiuta a riconoscere e stimolare nuove comprensioni dell’universo vivente, grazie anche alle rivelazioni di questi validi alleati.