Nell’odierno, variegato e dinamico scenario globale che ruota intorno alla psichedelia l’approccio multidisciplinare è divenuto centrale. Al contempo è cresciuto lo sforzo per operare lungo percorsi sempre più collaborativi e interconnessi. Questioni ben note agli addetti e ripetutamente menzionate dai “pionieri”, ma non di rado dimenticate o sottovalutate, sull’onda della spinta all’ipermedicalizzazione o dei facili entusiasmi per il nuovo revival. Si tatta cioè di procedere consapevolmente verso una vera e propria Maturità Psichedelica capace di produrre frutti duraturi e validi per tutti.
Un contesto in cui torna utile rivisitare l’impegno di uno di tali “pionieri”, l’autore britannico Aldous Huxley (1894-1963), nel chiarire l’intreccio fra stati non ordinari di coscienza e dimensioni di tipo spirituale, come anche l’intermediazione tra opere di letteratura e il mondo della ricerca scientifica e filosofica. Da qui l’attualità di riproporre questa riflessione firmata da Mario Lorenzetti* e apparsa sul bollettino della Società Italiana di Studi sugli Stati di Coscienza (SISSC), N°2 del settembre 1998.
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L’importante ricerca di Aldous Huxley sugli stati non ordinari di coscienza e sul rapporto che questi hanno con le dimensioni di tipo spirituale è a volte difficile da dimensionare, data da un lato l’importanza dell’opera dell’autore e la ‘prescientificità’ di essa dall’altro lato.
Troppo spesso viene apprezzato dal punto di vista narrativo, prescindendo dai suoi saggi, o dalla veicolarità dei suoi romanzi. Huxley si era posto il problema di una letteratura incapace di mediare con il mondo della ricerca scientifica e filosofica. In The Final Revolution (intervento pubblico tenuto il 25 gennaio 1959 all’Università della California a San Francisco), Huxley precisa il suo pensiero a proposito:
‘Come mettere assieme il meglio di entrambi i mondi: il mondo della specializzazione, che è assolutamente necessario, e il mondo della comunicazione generale e di interesse nelle più grandi questioni della vita, che è anche necessario. Penso che l’uomo di lettere abbia un contributo da portare. Egli può, se sceglie di associarsi un po’ con gli specialisti, fare qualcosa per formare un ponte tra scienza e mondo in genere’(1).
Ma l’uomo di lettere ha per Huxley anche un ruolo veicolare nel produrre e rendere pubbliche con gli scritti riflessioni e intuizioni di carattere prescientifico:
‘Gli uomini di lettere(…) hanno prodotto alcuni estremamente interessanti risultati in questo campo, che possono essere chiamati prescientifici. Per esempio, se si paragona la psicologia medievale o la psicologia del XVI secolo con la poesia del Canterbury Tales di Chaucer, si percepisce l’enorme superiorità del letterato sull’uomo di scienza del periodo. Lo stesso è vero per Shakespeare. (…) La psicologia ufficiale, la psicologia scientifica non comincia a mettersi alla pari con la psicologia letteraria prima della seconda metà del XIX secolo. E’ incredibile percepire l’aridità della dottrina della psicologia ufficiale del periodo in paragone della psicologia letteraria di alcuni romanzieri come Balzac o Dickens o George Eliot o Dostoyevsky e Tolstoy. Si è sbalorditi di fronte alla povertà delle formulazioni scientifiche se paragonate alla straordinaria ricchezza e sottigliezza di questi uomini, attraverso osservazioni e intuizioni esposte nei loro romanzi’.(2)