Respinto il ricorso sulla “tabellizzazione” dell’ayahuasca

Rispetto all’inclusione da parte del governo italiano tra le sostanze proibite delle due piante da cui vengono estratti i principi attivi (armalina, armina e DMT) dell’ayahuasca, arriva ora la (prevista) notizia che il TAR del Lazio ha respinto il ricorso della ICEFLU — come riporta FuoriLuogo:

Con la sentenza 06031/2023 pubblicata oggi il TAR del Lazio ha respinto il ricorso contro l’inserimento da parte del Ministero della Salute dell’Ayahuasca nella tabella I delle sostanze illegali regolate dal Testo Unico sulle droghe. Ne ha dato notizia in una nota la Chiesa Italiana del Culto Eclettico della Fluente Luce Universale (ICEFLU) che valuterà quali iniziative intraprendere a seguito di questa decisione.

I giudici amministrativi pur rilevando come “l’ayahuasca e le piante in essa contenute non sono internazionalmente proibite dalla convenzione sulle sostanze psicotrope del 1971” hanno valutato che ai sensi del DPR 309/90 lo Stato possa inserire fra le sostanze illegali anche quelle non inserite nelle tabelle internazionali ma ritenute potenzialmente a rischio per la salute a seguito di “nuove acquisizioni scientifiche.” (art. 14, DPR 309/90). Non hanno convinto i magistrati nemmeno le contestazioni rispetto all’istruttoria, che per i ricorrenti non avrebbe tenuto conto degli studi sulla sostanza. Per il TAR del Lazio il parere di Istituto Superiore della Sanità e Consiglio superiore di sanità (quest’ultimo di nomina governativa) sono di per sè sufficienti a integrare l’iter preparatorio, insieme alle (due) segnalazioni del Sistema di allerta rapida e di ulteriori due segnalazioni di intossicazioni da parte del Centro Anti Veleni di Pavia in oltre 10 anni.

Per i giudici i ricorrenti non sono riusciti a dimostrare che “nel caso dell’ayahuasca e dell’armina e armalina si tratti di un mero effetto onirico visionario, quale stato modificato della coscienza, e non invece di un effetto allucinogeno” che è uno dei motivi per l’inclusione delle sostanze in tabella I della Jervolino-Vassalli come sostenuto dal Ministero. E’ stata respinta anche la richiesta di deroga per l’uso sacramentale dell’ayahuasca, sottoposta dall’ICEFLU che non essendo prevista per legge per il Tribunale Amministrativo Regionale “costituirebbe un precedente astrattamente riferibile a un numero indefinito di situazioni e di sostanze, con ogni conseguenziale rischio per la salute pubblica, unica finalità perseguita dall’amministrazione con l’inserimento delle sostanze nelle tabelle di cui al d.P.R. n. 309/1990“.

Infine anche la questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 3 e 19 della Costituzione per i Giudici laziali “appare del tutto destituita di fondamento”. Oltre a non ritenere che il provvedimento violi il diritto religioso così come garantito dalla carta costituzionale il TAR richiama la sentenza 28167/2007 della Corte europea dei diritti dell’uomo che si era occupata di un caso analogo in cui una seguace del culto olandese che contestava il divieto di uso dell’ayahuasca durante le cerimonie. La Corte EDU nel caso specifico aveva stabilito “che il divieto di uso e consumo era da ritenersi legittimo in quanto non violativo dell’art. 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (nei medesimi termini, l’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea tutela altresì la libertà di pensiero, di coscienza e di religione) in considerazione della circostanza che il divieto di uso della bevanda è stato motivato dalla necessità della tutela della salute pubblica (e dell’ordine pubblico).”

Fact-checking: Changa, l’invenzione di un occidentale???

Changa blendRiprendiamo l’attività dell’Osservatorio Media, ovvero il “fact-checking” della scena psichedelica, avviata tempo fa esaminando un articolo dedicato all’ayahuasca, occupandoci qui di DMT e changa – sostanze che al pari dell’ayahuasca nel tempo hanno dato vita a diverse “leggende urbane”. Stavolta anzi ad alimentarle non è solo la vulgata popolare bensì proprio quanti, sia in Italia che all’estero, vengono percepiti come dei veri “esperti”.

È il caso dell’australiano Julian Palmer, che sulla base delle sue conoscenze personali, della sua limitata esperienza personale e di materiale autoreferenziale da lui scritto si è autoproclamato “il padre della changa“. Dichiarando altresì di aver concettualizzato in chiave occidentale questo preparato che potremmo definire una “ayahuasca fumabile” come uno spinello, quindi con una “ritualità” conforme alla nostra matrice culturale.

A metterci in guardia però su questa affermazione fu già un intervento di Giorgia Gaia nel corso degli Stati Generali della Psichedelia in Italia del 2021, quando spiegò brevemente come su questo tema si fosse accesa una forte polemica sui forum specializzati e che in realtà Julian non ne era l’inventore ma sicuramente uno dei maggiori divulgatori. Partendo da qui abbiamo pensato di andare a fondo sulla questione cercando di fare ulteriore chiarezza.

La changa è la combinazione di DMT e betacarboline da fumare in una base vegetale secca, e per certi versi non è altro che una “enhanced leaf”, cioè del materiale vegetale infuso con principi attivi. Sarebbe come appropriarsi dell’invenzione del decotto o della tintura alcolica. In ogni caso, il concetto e la pratica di mischiare questi due ingredienti specifici e fumarli è antichissimo, sembra anzi risalire a prima dell’anno 2000 a.C.. Ad esempio, nei siti Inca di Cueva e Huachichocana in Argentina sono state ritrovate due pipe d’osso di puma e dei semi di Anadenanthera e Prosopis (un genere contente betacarboline). L’analisi del materiale ha individuato la presenza di DMT [AA, DISTEL. “Hallazgo de un sitio aceramico en la Quebrada de Inca Cueva.(Provincia de Jujuy) Découverte d’un site sans céramique du ravin de Inca Cueva (Province de Jujuy).” Relaciones 7 (1973): 197-235.].

A quanto pare esiste pure una polvere da fiuto tradizionale chiamata “changa” usata nelle tribù amazzoniche Quetchua e Shipibo, che consiste in foglie di Banisteriopsis caapi  (già presenti nel decotto dell’ayahuasca) polverizzate e mescolate con altre piante triptaminiche.

Spostandosi in occidente, non mancano i resoconti degli anni ’90 pubblicati sulla Entheogen Review che documentano il consumo di changa. Lo stesso Jonathan Ott, famoso etnobotanico, scrive di aver fumato il DMT infuso su foglia di caapi in quegli anni. Nella storica Psichedelics Encyclopedia di Peter Stafford, risalente al 1977 e ripubblicata nel 1993, vengono descritte diverse erbe infuse col DMT destinate ad essere assunte tramite combustione.

Nel suo libro Frammenti di un insegnamento psichedelico (Spazio Interiore, 2017) Palmer ribadisce di essere il creatore della changa. È assurdo pensare che sembri più plausibile che questa combinazione di due piante amazzoniche sia stata scoperta non dai nativi che le consumano da sempre, ma da un australiano nel 2000. Claim of fame del genere richiedono un’attenta verifica o si rischia proprio di riscrivere la storia in base a quanto dice tizio o caio.

A dire il vero anche altri editori nostrani hanno pubblicato con una certa disinvoltura testi che in realtà richiedevano revisioni importanti, vedasi Pharmako/Gnosis di Dale Pendell (Add, 2022), venduto come grimorio da non perdere ma che sottoposto a verifica ha generato più di 8 cartelle di errori e inesattezze, come abbiamo subito segnalato. Ovvio che il forte ritorno d’interesse verso i risvolti dell’universo “psichedelia” abbia generato simili rilanci anche nel Bel Paese, ma occorre stare attenti. E molto.

Oscar Wilde diceva: «Non c’è una seconda occasione per fare una buona prima impressione». È un peccato che anche certi ambienti della psichedelia globale perdano questa occasione del «far buona la prima». Un peccato ancor più grande se consideriamo la delicatezza dell’argomento. Segnalateci altri argomenti da sottoporre a verifica. Se vi sta a cuore l’argomento, non esitate a scriverci!

Australia: approvato l’uso psico-terapeutico di MDMA e psilocibina

Dal prossimo primo luglio, l’Australia sarà il primo paese al mondo dove gli psichiatri potranno legalmente prescrivere Mdma (per la cura del disturbo post-traumatico da stress) e psilocibina (per il trattamento della depressione resistente ad altre terapie). Pur trattandosi di una “detabellizzazione” ristretta a questi protocolli terapeutici, si tratta di un importante riconoscimento anche a livello legislativo delle necessità di rivedere l’approccio generale alle sostanze psichedeliche.

Non a caso, fra le varie reazioni in loco, il dottor David Caldicott, docente di medicina d’urgenza presso l’Australian National University, ha spiegato che una fornitura controllata di Mdma o psilocibina “può avere effetti notevolissimi su condizioni spesso considerate refrattarie al trattamento…oltre alla possibilità di recuperare decenni di opportunità perdute di approfondimento del funzionamento interno della mente umana”, percorso abbandonato “per così tanto tempo nel quadro di una ‘guerra alla droga’ ideologica e mal concepita”.

Il governo federale ha deciso, dopo estese consultazioni pubbliche e il parere positivo degli esperti medici nonché dell’Advisory Committee on Medicines Scheduling, di spostare le due sostanze nella tabella 8 (sostanze controllate) dalla precedente 9 (sostanze proibite) per queste specifiche applicazioni. Per ogni altro caso ovviamente MDMA e psilocibina restano del tutto illecite.

Tra le prime linee-guida per l’applicazione di fatto, gli psichiatri dovranno richiedere l’approvazione ad un’apposito commissione etica e seguire altre procedure definite dalla Therapeutic Goods Administration (Tga) di Canberra soprattutto rispetto alla propria conoscenza e formazione nel campo specifico.

Altro punto da risolvere riguarda l’approviggionamento, non essendo previste per ora produzioni legali di tali sostanze. Invece gia’ presenti alcune norme a salvaguardia dei pazienti, onde prevenire abusi di vario tipo mentre si trovano “in condizioni particolari” sotto l’effetto delle sostanze. In definitiva, “ciò consentirà a tutti i soggetti coinvolti di testare l’intero processo”, ha spiegato Vinay Lakra, presidente della Royal Australian and New Zealand College of Psychiatrists.

La decisione del governo australiano potrebbe aprire la strada per dare una scossone alle norme internazionali tuttora di taglio proibizionista e indicare una via praticabile, qui e ora, per una necessaria ed oculata “de-tabellizzazione” di sostanze ancora illecite ma alquanto utili e diffuse.

Nel complesso, un ulteriore segnale di apertura e cambiamento che va ad aggiungersi al percorso, in atto da tempo negli Stati Uniti, per la depenalizzazione personale di alcuni psichedelici in ambito locale (l’ultima città a deciderlo è stata San Francisco lo scorso autunno. Ricordando che MAPS (Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies) è agli ultimi passi dei test clinici per ottenere l’approvazione dell’MDMA per il trattamento del disturbo post traumatico da stress (PTSD) e Compass Pathways sta seguendo un analogo percorso con la psilocibina per la depressione.

Osservatorio Media 1: a proposito di ayahuasca e informazione

Dopo il lancio della rubrica di etnobotanica, inauguriamo un nuovo spazio periodico dedicato al  fact-checking su quanto viene pubblicato sui media italiani riguardo alle sostanze cosiddette “psichedeliche” e dintorni. Come ulteriore passo nel percorso collettivo “verso la maturità psichedelica“, proveremo a offrire una lettura critica costruttiva, puntando su un approccio obiettivo ed epistemico, multivocale e riflessivo. Con il caldo invito a commentare  liberamente in calce al post stesso (evitando, come sempre, le polemiche e attendendosi a dati oggettivi e fonti verificabili).

La scelta di questa prima uscita della rubrica è stata quasi casuale, visto che recentemente sul web italiano ha preso a circolare, in modo apparentemente inspiegabile, questo articolo risalente al febbraio 2020, oltre a un recente servizio de Le Iene (su Italia 1) che ha riproposto il medesimo episodio di Fiuggi. A scanso di equivoci, quindi, la nostra analisi non ha nulla di personale nei confronti del giornalista, né del giornale con cui collabora(va). Buona lettura!


Viste le ormai frequenti incursioni dei media mainstream sulla psichedelia, ci è parso utile sintetizzare qui di seguito il quadro complessivo di questo ambito specifico, a partire dal fact-checking di un intervento risalente a circa un anno fa che esemplifica l’approccio della “grande informazione” in Italia.

Ayahuasca (da Wikipedia) Apparso sul sito web de Il Giornale, a firma di Paolo Manzo, corrispondente dal Brasile, l’articolo prende le mosse da un fatto di cronaca: “Allarme ayahuasca, la droga letale «indigena» sbarca in Italia. Durante un controllo antidroga i Carabinieri hanno infatti sequestrato venerdì scorso in un appartamento di Fiuggi capsule contenenti all’interno polvere di ayahuasca. Denunciati a piede libero per «produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti», un 25enne di Aprilia, un 35enne svedese, un 40enne trevigiano e un 24enne di Roma”.

Tuttavia del caso specifico nulla viene detto, anche se parrebbe rilevante: abbiamo contattato uno dei denunciati, che ci ha spiegato com’è andata. I carabinieri, in parte in divisa in parte in borghese, si sono presentati con un mandato di perquisizione presso un casale dove il gruppo Ayahuasca Italia svolgeva ritiri e sessioni private. Il mandato di perquisizione era stato però emesso per tutt’altro motivo: le forze dell’ordine erano alla ricerca della pianta dell’iboga. Questo verosimilmente perché il gruppo italiano fa parte di una rete più estesa, che in altri Paesi propone nei suoi ritiri anche la pianta di origine africana.

I carabinieri hanno quindi proceduto al sequestro di numerose sostanze (tra cui rapé, incensi, resine, mambe) e hanno denunciato le persone coinvolte, che rimangono in attesa del risultato delle indagini chimiche. Tra queste, c’è anche un ridotto quantitativo di ayahuasca, in forma di decotto, quindi non «capsule contenenti all’interno polvere di ayahuasca», come si legge nell’articolo.  Si noti che il gruppo in oggetto è già stato, in più occasioni, criticato e la sua attività risulta per molti versi censurabile.

Certamente non ne vanno nascosti gli utilizzi ambigui e i “curanderos” senza scrupoli, bensì denunciati e puntualizzati correttamente, anche e soprattutto per chi ne sa poco. In tal senso va ricordata la dichiarazione di oltre cento accademici, attivi sul campo, in appoggio al popolo Cofan, in una diatriba emersa nell’estate 2015 che coinvolgeva Alberto José Varela, a capo dell’organizzazione Ayahuasca International e del suo ovvio modello iper-commerciale.

Procediamo ora a una disamina di quanto affermato nell’articolo italiano di cui sopra. (>> Continua qui…>>)

Leggi tutto