Verso la maturità psichedelica: introduzione

Verso la maturità psichedelicaEcco l’introduzione integrale dell’antologia che raccoglie una serie di interventi selezionati dalle edizioni 2019 e 2020 degli Stati Generali della Psichedelia in Italia (volume in uscita presso AnimaMundi, collana Enteogeni).

 

Questo volume raccoglie una serie di interventi selezionati dalle edizioni 2019 e 2020 degli Stati Generali della Psichedelia in Italia: iniziative del tutto uniche e originali per il panorama nostrano, frutto dell’impegno (volontario) di esperti, professionisti e attivisti riuniti nel network-rete di Psy*Co*Re (Multidisciplinary Italian Network for PSYchedelic and COnsciousness REsearch – da pronunciare in latino PSICORE). L’idea di lanciare prima il progetto-network e poi organizzare questi eventi è nata prevalentemente dall’esigenza di porre maggior attenzione al fenomeno della rinascita psichedelica, ai rapporti tra sostanze e terapie relative agli stati “altri” di coscienza, nella loro accezione più ampia.

Il motivo di tale attenzione sta nella constatazione di un ovvio ritardo nello sviluppo di una cultura, necessariamente articolata e complessa, relativa alla ricerca di settore e alla psichedelia stessa, e più in generale, alle indagini sugli stati di coscienza – partendo da una corretta informazione relativa alla diffusione delle tecniche terapeutiche e delle terapie stesse, per altro ancora impraticabili in Italia per evidenti motivi legali. Questo ritardo rispetto non solo ai Paesi anglosassoni tradizionalmente in prima fila, cioè Gran Bretagna e Stati Uniti, bensì anche nei confronti di altre nazioni europee come Svizzera o Germania, copre l’intero spettro del revival d’interesse emerso negli ultimi anni.

Ne sono vittime sia l’ambito della ricerca scientifica in senso stretto, a partire dall’utilizzazione dei molti dati oggi reperibili e dalla condivisione delle nuove conoscenze emergenti nel campo, sia il dibattito pubblico a livello più ampio, dove informazioni spesso entusiastiche tendenti a esaltare alcuni aspetti indubbiamente positivi del cosiddetto “rinascimento psichedelico” finiscono per scontrarsi con la precedente visione mediatica e sociale che tendeva a stigmatizzare le sostanze e chi ne faceva uso, generando forti distorsioni del messaggio e confusione tra i non addetti ai lavori, spesso spiazzando chiunque fosse incuriosito e attratto da questi argomenti fino a ieri tabù.

Da qui l’urgenza di sviluppare innanzitutto modalità di comunicazione di tipo nuovo, basate su una strategia articolata e di ampio respiro, diverse da quelle usualmente utilizzate nei vari canali “underground” o in ristrette cerchie di professionisti, entrambi spesso tacciati di elitismo. Oggi queste tematiche tro- vano spazio e attenzione anche nelle testate d’informazione di taglio mainstream, negli spazi sociali online e nel mondo editoriale italiano, stimolando a loro volta la crescita del più ampio dibattito pubblico. Arrivando perfino a far qualche breccia in ambito accademico e scientifico, proponendo riflessioni originali e interventi interdisciplinari, pur nel tipico disinteresse del fronte politico-legislativo. Sull’esempio di quanto va accadendo da diversi anni altrove nel mondo, aumentano insomma gli sforzi collettivi per superare la tipica superficialità che storicamente aveva caratterizzato l’approccio, o piuttosto la sua mancanza, alla multidisciplinarietà psichedelica anche in Italia.

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Parte la “call” per gli Stati Generali della Psichedelia 2021

SGPI21È partita la pianificazione per la terza edizione degli Stati Generali della Psichedelia, in programma in versione mista (in presenza e in livestreaming) a Torino per il 10, 11 e 12 dicembre 2021. Tema centrale: VERSO LA MATURITA’ PSICHEDELICA. PRESENTE E FUTURO DELLA PSICHEDELIA IN ITALIA.

Sono previste due sezioni principali – una a inviti selezionati da un comitato e una aperta al libero contributo di tutti – dove verranno affrontati i seguenti argomenti:

* RICERCHE RECENTI O INEDITE. Novità e aggiornamenti in ogni campo di ricerca attinente alla psichedelia e agli stati di coscienza in generale, preferibilmente emerse dopo il dicembre 2020. Particolarmente graditi gli interventi riguardanti la ricerca di base e le indagini multidisciplinari relative all’ambito psichedelico in senso lato.

* 50 ANNI di PSICHEDELIA in Italia. Sezione dedicata a ricostruire la storia della psichedelia italiana.

* ARTE e PSICHEDELIA in Italia. Potranno essere proposti progetti e/o opere già realizzate di qualsiasi genere incluse: danza, teatro, performance, musica (dj set, concert), ecc.

* FG (Foreign Guests). Contributi da tutto il mondo su argomenti d’attualità riguardanti la psichedelia e gli stati di coscienza in generale.

Questo il modulo da compilare per la richiesta di partecipazione. E per ulteriori domande e/o informazioni non esitate a contattarci!

Etnobotanica 8: Acorus calamus, un rizoma aromatico

Acorus calamus DATI ETNOGRAFICI

Mondo antico

Il nome deriva dal termine greco calamos, cioè “canna”, per via della somiglianza con quest’ultima: a quei tempi veniva usato per dare un tocco di odore gradevole agli ambienti chiusi, soprattutto nelle chiese. Il nome del genere Acorus proviene da coreon, una malattia degli occhi diffusasi in Grecia per cui si somministrava il calamo aromatico. Ippocrate ne conosceva le proprietà medicinali, compare anche negli scritti di Dioscoride e Teofrasto.

Gli antichi Romani lo consideravano un potente afrodisiaco e lo associavano a Venere [1]. Alcuni resti di calamo aromatico sono stati rinvenuti nella tomba di Tutankhamen in Egitto [2]. La pianta veniva impiegata nell’antico Egitto per la produzione di profumi, oltre che nel trattamento della linfadenite cervicale [3]. Gli arabi lo lodavano come rimedio per i reflussi gastrici.

Viene menzionato 3 volte nella Bibbia: Dio istruisce Mosè affinchè prepari un olio santo per ungere tabernacolo, Arca dell’alleanza e altri oggetti rituali. La ricetta comprende mirto, franchincenso, cannella, calamo, cassia, galbano e spezie dolci (Esodo 30:23,24,34). Veniva coltivato nei giardini di Salomone (Salomone 4:14) e venduto nel mercato di Tiro in Libano (Ezechiele 27:19). Viene citato anche nel IV papiro di Chester Beatty.

L’Acorus calamus era un ingrediente della pozione d’amore medievale prescritta da Zacutus Lusitanus, famoso medico portoghese. Veniva impiegato dalle streghe nella preparazione del flying ointment insieme a solanacee delirogene ed altre piante.

Nativi americani

Il geografo Americano Sauer scrisse che il tubero di Acorus calamus veniva usato dai nativi americani prima che fosse scoperto dagli occidentali bianchi [4]. Le tribù delle praterie gli attribuivano poteri mistici, e i Pawnee ne cantavano le lodi durante le cerimonie misteriche. Gli sciamani Siouani del Nord Dakota lo utilizzavano nella loro danza sacra. Le tribù Cree e Ojibway lo masticavano durante le lunghe spedizioni di caccia come per alleviare la fame ed avere più energia.

La pianta viene associata al topo muschiato (Ondatra zibethica) che ne va ghiotto. Una leggenda dei Penobscot dice che un il topo avesse detto a un uomo di esserne la radice e dove potesse trovarlo. L’uomo, svegliatosi, andò a raccoglierla e ne fece una medicina per curare le sue genti dalla peste e, forse, anche dal colera.

I Chippewa lo inalavano contro il raffreddore, per i problemi bronchiali in una preparazione inclusiva di Xanthoxylon americanum, Sassafras variifolium e Asarum canadense. Dakota, Omaha, Winnebago e Pawnee lo masticavano o ne facevano un infuso, polverizzato veniva bruciato sulle braci per inalarne il vapore e liberare le vie aree.

I Cree ne facevano un infuso per trattare mal di testa, mal di denti e dismenorrea. I gruppi delle paludi masticavano la radice per curare faringiti ed altri problemi alla gola. Gli Abnaki bevevano il decotto tiepido di calamo come rimedio per meteorismo e flatulenza. I Sioux lo consumavano contro i disturbi gastrici, ne inalavano i fumi per alleviare il mal di testa. Lo applicavano localmente come anestetico e cicatrizzante. Lo masticavano durante le battaglie per instillare coraggio e potenziare la resistenza dei guerrieri. Lo davano ai cani da guardia per renderli più feroci, ci foreggiavano anche i cavalli per farli diventare più veloci.
Le donne Menominee la macinavano insieme a radice di sanguinaria e legno di cedro come rimedio per l’irregolarità mestruale. I Blackfott del Montana lo impiegavano come abortificente. I Meskwaki lo applicavano esternamente sulle bruciature [5].

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Alberi-fungo e funghi nell’arte cristiana

Alberi-fungo, Gianluca ToroProseguendo con le segnalazioni editoriali, ecco la nuova uscita di Gianluca Toro, chimico in campo ambientale ed esperto di composti psicoattivi naturali in etnobotanica ed etnomicologia, nonchè autore di numerosi saggi e libri, tra cui Ketamina: un anestetico psichedelico (estate 2020). Si tratta di Alberi-fungo e funghi nell’arte cristiana. Origini e sviluppo di un’iconografia – oltre 500 pagine con circa 300 illustrazioni in bianco e nero (più di 100 le rappresentazioni fungine). È autopubblicato dallo stesso autore, a cui ci si può rivolgere per maggiori dettagli e per l’acquisto (25 euro il prezzo di copertina).

Obiettivo primario della ricerca è quello di seguire origine e sviluppo iconografico che hanno portato dall’albero all’albero-fungo stilizzato e all’albero-fungo vero e proprio nell’arte cristiana in senso lato. Si arriva al fungo naturalistico passando per forme intermedie, tentando di definire il maggiore o minore grado di intenzionalità con cui l’artista intese rappresentarle e il messaggio associato. Gli indizi considerati sono rappresentati dalla morfologia, la rappresentazione di un eventuale effetto psicoattivo, il tipo di scena e l’ambientazione, le dimensioni relative e posizione e la relazione con altri elementi della scena stessa, mentre i significati ipotizzati sono quello iniziatico-esoterico, indicazione della rilevanza di una scena, di un personaggio, di certe qualità o di un’azione, morte e resurrezione, maligno-demoniaco, alimentare, naturalistico e decorativo e numerico.

Per quanto concerne il nostro ambito specifico, le specie psicoattive riconoscibili e illustrate nel libro sono principalmente l’Amanita muscaria e la Psilocybe semilanceata, con prevalenza di quest’ultima, insieme ad alcune possibili rappresentazioni di specie di Panaeolus che non è sempre agevole riconoscere non avendo caratteri morfologici peculiari come le prime due specie. E come si legge nell’introduzione:

Le immagini individuate rispecchiano la principale differenziazione esistente in natura tra le specie di funghi psicoattivi, vale a dire quelli appartenenti alla classe biochimica isossazolica, corrispondenti essenzialmente all’Amanita muscaria, e psilocibinica, corrispondenti alla Psilocybe semilanceata e la specie di Panaeolus. Nonostante l’Amanita muscaria sia piú vistosa e facilmente riconoscibile rispetto alle specie psilocibiniche, sembra che queste ultime siano piú adatte a esprimere le tematiche dell’arte cristiana, il che rispecchia la distinzione tra gli effetti. Probabilmente l’Amanita muscaria era soggetta a una certa tabuizzazione.

Il testo offre una copiosità di dati etnomicologici, partendo dal Mondo Antico (greci, latini, romani) fino al Medioevo e oltre, integrati da una panoramica di leggende, racconti e altre testimonanze. Non mancano gli elementi di valutazione della rappresentazione fungina, con dettagli sui caratteri esteriori, la rappresentazione dell’eventuale effetto psicoattivo, l’ambientazione e altri riferimenti utili.

Più in generale, si chiarisce come le rappresentazioni fungine nell’arte cristiana deriverebbero da un contesto piú vasto e implicherebbero una tradizione micologica di tipo religioso, filosofico ed esoterico con origine nell’antichità. E non è certo un mistero che la cultura cristiana assorbí elementi tradizionali legati ai funghi per esprimere così il messaggio micologico in modo esoterico. Senza dimenticare che queste immagini e l’iconografia specifica rappresentano un contesto importante per la ricerca etnomicologica, confermando il fatto che quest’ultima era conosciuta ed eventualmente impiegata nella vita quotidiana.

20/9: Magic Mushroom Day

Magic Mushroom Day 2021«Abbiamo scelto il 20 settembre (9/20 nella dicitura anglofona) perché segna l’inizio dell’autunno, quando i funghi crescono copiosi; perché cade alla vigila dell’equinozio invernale, indicando un cambio di direzione; e perché riecheggia il 4/20, celebrazione globale dei successi del movimento pro marijuana». Così Nicholas Reville, animatore a Providence, Rhode Island, della 920 Coalition spiegava la scelta di lanciare questa giornata dedicata specificamente ai funghi psilocibinici (Magic Mushroom Holiday).

Lanciata nel 2015, l’iniziativa non ha (ancora?) raggiunto una massa critica al di fuori degli Usa, dove va però affermandosi come una “giornata di informazione e d’azione” dedicata al grande pubblico, sull’onda della crescente presenza mainstream delle sostanze psichedeliche, e dei “funghetti” in particolare. Ben più che una semplice “celebrazione” dunque, come accaduto per l’ormai universale 4/20 sulla cannabis, appunto, e per il Bicycle Day del 19 aprile (1943), a ricordo della prima auto-sperimentazione consapevole dell’Lsd da parte del suo scopritore, il chimico svizzero Albert Hofmann.

Obiettivo generale è infatti quello di ampliare il la discussione collettiva e informare al meglio sui benefici della psilocibina, soprattutto in ambito psico-terapeutico, sull’estesa ricerca scientifica in corso, sul processo di depenalizzazione avviato in alcune situazioni nord-americane (a partire da Decriminalize Nature), sulle precauzioni e i rischi nell’uso personale per scopi vari, microdosi incluse, sull’impiego cerimoniale-tradizionale del Teonanácatl e su molti altri aspetti collegati.

Proprio oggi, per esempio, la Johns Hopkins University annuncia un ulteriore passo avanti sul fronte della ricerca: è stato appena approvato il sostegno finanziario della NIDA (National Institute on Drug Abuse) per uno studio sulla psilocibina per superare la dipendenza da tabacco. Come sottolinea lo stesso responsabile Matthew Johnson, «è la prima volta in oltre mezzo secolo che le autorità Usa sostengono direttamente un’indagine sul campo con un classico psichedelico». E i molti commenti positivi ribadiscono l’arrivo di una nuova era per la legittimazione di tali sostanze nell’ambito della ricerca scientifica ufficiale.

Non manca il tipico flusso continuo di tweet per l’occasione, mentre su Instagram la testata DoubleBind informa sulla ricorrenza e chiede: «Come pensate di onorare questa giornata? Fateci sapere». Seguono migliaia di “like” e decine di risposte di diverso tipo.

Psychedelics Today, centro di informazione e training, propone una sorta di “riffa” con decine libri, corsi e altro per saperne di tutto e di più sulla psilocibina, in aggiunta a un podcast con vari ospiti, inclusa Michelle Janikian, giornalista ed autrice dell’ottima guida Your Psilocybin Mushroom Companion (2019).

È poi in corso (online) la quattro giorni del Third Annual Psilocybin Summit, con decine di relatori (da esperti micologi a curanderi, da Vandana Shiva a Dennis McKenna) di ogni parte del globo ad approfondire e condividere le conoscenze su coltivazione, ecodelia, tradizione, tripsitting e altro.

Ancora, oggi e domani il Chacruna Institute coordina l’International Psilocybin Symposium (online e gratuito, in inglese e spagnolo) che raccoglie ricercatori, accademici, leader indigeni, attivisti e altri soggetti coinvolti, per discutere le prospettive attuali e le problematiche di questo movimento globale.

Infine, ieri all’Università di Ann Arbour, in Michigan, migliaia di persone hanno dato vita allo Shroom Festival nel primo anniversario della normativa locale che dichiarava uso, coltivazione e distribuzione di piante e funghi enteogeni  “ultima priorità delle autorità repressive” – di fatto, la depenalizzazione a livello personale.

Tutta una serie di risorse e iniziative mirate a “celebrare” l’odierno Magic Mushroom Day come un’ulteriore occasione per documentarsi e coinvolgersi lungo il percorso collettivo verso la maturità psichedelica. Dove non mancano spazi e opportunità  anche per la ricerca italiana: qualche mese fa è stato approvato uno studio con la psilocibina sintetica all’università Roma Tre per la sindrome dello spettro autistico – per conto di Nova Mentis, azienda canadese di biotecnologia specializzata in medicina psichedelica.

 

 

 

Corsi e ricorsi delle “piante maestre”

Continua ad espandersi anche in Italia l’attenzione verso la psichedelia e gli stati non ordinari di coscienza in senso lato, particolarmente in ambito editoriale, a conferma di un’ondata del tutto inedita già segnalata di recente. Stavolta è il turno di un’opera originale curata da Tania Re, psicoterapeuta gestaltista specializzata in Antropologia della Salute ed Etnomedicina. Il suo Tania Re, Stupefacenti e proibiteStupefacenti e proibite: le piante maestre, fresco di stampa presso le edizioni Amrita di Torino, offre un contributo puntuale lungo questo percorso di ampio respiro.

Una delle tesi centrali del libro è quella rimarcare come, in molte regioni del mondo, da tempo immemorabile gli esseri umani hanno appreso e condiviso le proprietà curative delle  piante “di conoscenza” e continuano a farne un uso accorto ancor’oggi:  tabacco, coca, oppio, ma anche sostanze di derivazione vegetale come psilocibina e ibogaina. Invece da oltre mezzo secolo i governi occidentali hanno deciso di bollarle come “droghe”, ovviamente illecite, criminalizzandone gli utenti e bloccandone di fatto la ricerca con ricadute negative per la  società tutta.

Dobbiamo quindi smettere di demonizzare tali piante e sostanze, per impegnarci piuttosto a studiarne e informarne sugli aspetti e sulle potenzialità,  oltre che a sperimentarne gli effetti in prima persona nei contesti e  modalità opportuni. Va cioè affermata la libertà di scelta terapeutica e la ripresa degli studi scientifici in materia, avviata da qualche anno soprattutto nel mondo anglosassone, ma anche in Spagna, Olanda, Repubblica Ceca, Israele, Svizzera.

C’è poi un altro punto cruciale che affiora ripetutamente: sono le “piante maestre” ad aprirci le porte a quella parte di realtà a cui non si può accedere da uno stato “ordinario”. Non a caso, per alcuni popoli tradizionali, la “vera” vita è quella vissuta nel sogno, mentre la vita “reale” altro non è che un’ombra del sogno. Il tabacco, per esempio, è considerato la pianta che apre la mente, mentre l’ayahuasca è tradizionalmente riconosciuta essere quella che apre il cuore. Insieme, le due piante sono tra i principali “maestri della foresta” da cui poter trarre grandi insegnamenti.

Concezioni, o piuttosto “visioni”, che possono senz’altro aiutare l’umanità e che quindi meritano di essere valorizzate proprio all’interno del cosiddetto “progresso” occidentale, evitando però di puntare al profitto e/o di cannibalizzarle senza scrupoli. Ovvero:

Sradicare l’uso della pianta dal contesto curativo tradizionale si rivela una scelta pericolosa, come è avvenuto quando il tabacco, da pianta in uso per cerimonie collettive a beneficio della comunità, è diventato una maledizione collettiva.

Contesto e cerimonie da salvaguardare e rispettare per affermarne così i benefici complessivi. Lo ribadiscono le storie vissute dalla stessa autrice, oltre che da alcuni amici e colleghi (incluse nella prima sezione di ciascun capitolo) a riprova del concreto aiuto psico-terapeutico offerto dalla medicina tradizionale e naturale. A conferma non manca una panoramica sulle prime indagini scientifiche degli anni ’60 e soprattutto sul recente revival della medicina naturale e ancor più di quella psichedelica (pur se ancora illegale).

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Etnobotanica 7: Passiflora caerulea, un potenziale MAO-inibitore

MEDICINA TRADIZIONALE
La Passiflora caerulea veniva coltivata dagli Aztechi che la usavano come pianta ornamentale e come rimedio per disturbi urinari, fratture ossee e contusioni della pelle.

Nella medicina popolare argentina, le foglie vengono consumate per trattare la dissenteria, il frutto come digestivo e la parte aerea come spasmolitico.

Passiflora caeruleaCon foglie e radice preparano anche un decotto contro i parassiti intestinali; la tisana a base di parte aerea viene impiegata come agente antinfiammatorio, ipotensivo, sedativo e diuretico.
Inoltre viene lodata per le sue proprietà antimicrobiche utili nel trattamento di catarro, polmonite [1].

In Brasile è nota come maracujá-laranja per via del colore arancione e viene utilizzata principalmente come sedativo, analgesico ed ansiolitico naturale, ma sono note applicazioni contro scorbuto, ittero, disturbi mestruali e gastrointestinali [2].

Nella medicina popolare delle Mauritius si preparano delle tinture e degli estratti a base di fiore della passione per trattare diverse condizioni nervose.

In Italia la Passiflora caerulea veniva consumata come antispasmodico e sedativo.

FARMACOLOGIA

Ansiolitico, sonnifero, sedativo
La parte aerea di Passiflora caerulea contiene dei flavonoidi non identificati dotati di alta affinità per i recettori delle benzodiazepine, le concentrazioni di questi composti sono troppo basse perchè i dosaggi tradizionali siano efficaci in acuto. Tuttavia sembra che l’assunzione cronica possa incrementare nel tempo i livelli di benzodiazepine nel cervello con conseguente modulazione dell’omeostasi dello stesso [3].

La crisina, un flavone isolato dalla pianta, ha mostrato significativi effetti ansiolitici privi di componente sedativa e miorilassante nei modelli animali agendo come agonista parziale sui recettori delle benzodiazepine [4]. Secondo altre fonti, l’estratto di fiore della passione ha un effetto comparabile all’oxazepam [5].

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Intellettualizzazione o Visione? Il registro dell’esperienza psichedelica

Psychedelic ExperienceRiceviamo e volentieri pubblichiamo questo vero e proprio “trip report” di un autore che preferisce rimanere anonimo. Un resoconto interessante e personale, ma anche “dotto”, vista l’esperienza e le conoscenze psicologiche dell’autore stesso, attento alle problematiche della riduzione del danno e soprattutto del rischio collegato al consumo di queste molecole.

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Intellettualizzazione o Visione? Il registro dell’esperienza psichedelica.

Una riflessione su come siamo noi presenti durante lo stato non ordinario di coscienza, o come l’hic et nunc ne determini l’integrazione nel quotidiano futuro.

Questo scritto si propone di analizzare, da un punto di vista psicologico, secondo le teorizzazioni apprese nel corso dei miei studi universitari, l’esperienza psichedelica.
Quest’ultima sempre soggettiva, intima, interpretata dal solo sguardo di chi la vive.
Ogni generalizzazione a riguardo è da considerarsi un tentativo di approssimazione. Avvicinarsi ad una realtà comunque mediata da chi ne fa parte.
Perché oltre all’oggetto di realtà, questo quasi inconfutabile, vi si intersecano set e setting, in un logos continuo, l’uno ad influenzare l’altro, e viceversa.

Provare a formalizzare un campo di definizione è un’opera ardua ma stimolante, nelle speranze di chi scrive, utile a chi legge, per avvicinarsi alla psichedelia in modo consapevole, attutendo i possibili rischi; o guardarsi alle spalle nel proprio cammino, con nuove prospettive per proseguirlo, sempre più incuriositi.
Ben consci che l’obbiettivo primario non è postulare teoria “dura”, ma generare altri meravigliosi, liberi, dubbi.

Siamo sdraiati sotto il sole in un prato, e nel frattempo riflettiamo sul senso della vita.
Le nostre emozioni si sono impadronite di noi o viceversa?
Ci sovviene un flashback percettivo emotivo d’infanzia, che ristruttura la nostra visione su noi stessi, da una prospettiva inaspettata…
Ma allo stesso tempo una nuvola violetta, con forme caleidoscopiche, si avvicina alla massa luminosa lassù, sicuramente non lo stesso sole a cui siamo abituati. Lo sentiamo irradiare energia solare pura. Entrarci dentro le membra, irrorandole di un calore enteogeno, mentre l’erbetta soffice ci solletica, ondeggiando soavemente.

Lo switch fra due esperienze così disparate, in pochissimi secondi, è compreso nella gamma di effetti degli allucinogeni.
Sostanze non solamente in grado di inebriare i sensi, sconvolgere la percezione, distorcendola in modi che comprendono la completa gamma: dal sublime, all’atroce; ma anche di liberare i nostri canoni di pensiero dalle rotaie prestabilite, inibendo quella default mode network (1), pilota automatico della coscienza in autoruminazione, che ci chiude nelle nostre incertezze, privati della determinazione a cambiarci e a cambiare il contesto.
Pensieri offuscati si diradano e nuove prospettive nettate prendono così forma.

L’assuntore si trova indi d’innanzi l’oceano delle possibilità, ma difficilmente si sentirà perso. Che la strada intrapresa sia quella interpretativa, letteralmente “rivelatrice della mente” (2): la folgorazione sulla via della conoscenza; o diversamente quella che conduce verso ammalianti allucinazioni: il canto delle sirene di odissea memoria, generalmente si sentirà come preso per mano, condotto da una forza superiore.
Salvo imprevisti.

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Piero Coppo: etnopsichiatria, stati modificati di coscienza e psichedelici

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un intervento di Leonardo Montecchi* in memoria di Piero Coppo (1940-2021), recentemente scomparso. Neuropsichiatria e psicoterapeuta, Piero è stato tra i primi in Italia a svolgere seminari sulla respirazione olotropica di Stanislav Grof e, fra le tante attività, ha variamente collaborato con la Sissc. La questione degli stati altri di coscienza e dell’interazione con quella che chiamiamo normalità rimane uno dei suoi temi centrali: normalità e quello che definiamo come stato altro/alterati sono solo «le due facce della stessa medaglia».

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Piero Coppo (1940-2021) Ho conosciuto personalmente Piero Coppo negli anni novanta. In quel periodo stavo lavorando attorno ai temi della dissociazione con George Lapassade e tutto il vasto gruppo di ricerca trans-disciplinare che si era composto per ricercare sul tema della transe metropolitana. La rivista I Fogli di Oriss, diretta da Piero  pubblicò un mio saggio  ed io venni invitato a casa sua, in Toscana per partecipare ad un seminario sulla transe. Venne proiettato un documentario girato in Madagascar e ci fu  una interessante discussione durata due giorni. In quella circostanza ebbi modo di conoscere Piero e di iniziare un dialogo ed una ricerca con lui che è durata fino alla sua morte e che continua ancora.

Di cosa si tratta? Piero aveva aperto la strada alla Etnopsichiatria in Italia, l’aveva aperta seguendo le tracce di Michele Risso che negli anni 50 si era occupato dei deliri da sortilegio degli emigranti italiani in Svizzera. Questi giovani uomini che si avvicinano alle ragazze svizzere molto più libere delle loro fidanzate o mogli che avevano lasciato nel paese, arrivavano alla osservazione psichiatrica dopo che i loro sintomi somatici come gastriti, coliti, cefalee od altro non avevano trovato riscontro nella diagnostica clinico-laboratorista.

Michele Risso, che conosceva le ricerche di Ernesto de Martino sul mondo magico,parlando con loro ipotizzò il delirio da sortilegio o da affatturamento. Cioè, queste persone anziché percepire il senso di colpa per un “tradimento” anche solo del desiderio, percepivano l’effetto di un sortilegio che era stato effettuato nella loro terra di provenienza dalle loro donne tramite operatori specifici.

Come si vede, questa ipotesi è centrale nella Etnopsichiatria. Michele Risso poi andò a lavorare a Gorizia con Basaglia ed a condividere con quella equipe che portava avanti la rivoluzione psichiatrica le sue teorie e pratiche fortemente innovative che l’introducevano il punto di vista, la prospettiva dell’altro nel vincolo terapeutico.

Mi piace pensare che Piero Coppo e Michele Risso si siano conosciuti a Gorizia, questo non lo so è certo che Piero che è di una generazione successiva a Risso, si è laureato in medicina e specializzato a Bologna in neuropsichiatra nel 1968,  le due specialità erano ancora unite, poi è andato in Svizzera come interno all’Ospedale Psichiatrico di Losanna.

Alla fine degli anni ’70 comincia la sua presenza in Africa, soprattutto in Mali per una ricerca su psichiatria e medicina tradizionale.  Questa è la radice del suo  lavoro etnopsichiatrico che lo porterà ad essere un punto di riferimento per la disciplina della etnopsichiatria.

Da quella esperienza esce nel 1994 per Bollati Boringhieri Guaritori di follia, storie dell’altopiano Dogon, e poi nel 1996 Etnopsichiatria per i tipi del Saggiatore. L’ultimo suo libro, curato nel 2017 insieme a Laura Girelli, è stato Schiudere Soglie.

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Etnobotanica 6: Lactuca serriola e lactucarium

Il nome Lactuca deriva da lactus che in latino identifica il latte. Infatti la pianta, una volta incisa, secerne un abbondante liquido bianco e lattiginoso.

Lactuca_serriola Gli antichi Greci associavano la lattuga selvatica all’impotenza maschile e la servivano durante i funerali. Erodoto la menziona come pietanza degli dei Persiani del 400 a.C..

Gli antichi Romani la usavano come afrodisiaco ed analgesico: si dice che Augusto le avesse dedicato una statua dopo essere stato guarito da una malattia mortale.

Il naturalista Plinio il Vecchio ne descrive le proprietà nella sua Naturalis Historia. Gli Egiziani estraevano dai semi un olio molto pregiato dalle proprietà afrodisiache e promotrici della fertilità oltre che analgesiche e narcotiche.

MEDICINA TRADIZIONALE
Nella medicina Unani la Lactuca serriola, nota come kahu, viene impiegata come sedativo, ipnotico, antisettico, espettorante, antitussivo, purgante, vasorilassante, diuretico ed antispastico. Viene considerata molto efficace contro bronchite, asma e pertosse.

Il lattice essiccato, chiamato lactucarium, viene consumato come rimedio per insonnia, ansia, nervosismo, iperattività, tosse secca, pertosse e dolori reumatici. Si usa anche la parte aerea fresca o essiccata sotto forma di decotto, infuso o tintura alcolica; dai semi si estrae un olio dalle proprietà antipiretiche ed ipnotiche [1].

In Afghanistan selezionano le radici fresche dalle piante fiorite e le incidono lateralmente diverse volte. Quindi le lasciano a mollo per una notte in un recipiente pieno d’acqua a temperatura ambiente, facendo attenzione a proteggerlo dalla luce che danneggia il preparato e lo rende inefficace. L’infuso viene filtrato e consumato prima dell’alba come rimedio per la malaria [2].

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