Etnobotanica 3: funghi Psilocybe

funghi psilocybeNon si sa con precisione quando il genere Psilocybe sia originato: in base a dei reperti fossili di Archaeomarasmius, un genere estinto, si stima che la presenza dell’ordine Agaricales risalga al Cretaceo medio [1].

Tuttavia data la struttura soffice degli agaricali che ne rallenta la fossilizzazione, alcuni autori ipotizzano possa essere antecedente a questo periodo.

La maggior parte degli archeologi non ritiene che i funghi psilocibinici abbiano avuto un qualche ruolo nella preistoria, le teorie riguardo ad un eventuale influsso sulle popolazioni del Vecchio Mondo sono molto controverse.

MESSICO
La maggior parte delle evidenze archeologiche sull’uso enteogenico degli Psilocybe sono tutte localizzate in Messico: una statua con le fattezze dello Psilocybe mexicana è stata ritrovata in una camera mortuaria di circa 1800 anni fa a Colima in Messico.

I funghi psilocibinici venivano ampiamente consumati dalle popolazioni della Mesoamerica a scopo religioso, divinatorio e curativo. Venivano chiamati dagli Aztechi teōnanācatl, fonghi divini; è riportata la loro presenza nella cerimonia dell’incoronazione di Moctezuma II nel 1502. Il missionario spagnolo Bernardino de Sahagùn ha notato il loro diffuso impiego rituale mentre accompagnava Cortes durante il suo viaggio in America Centrale. In uno dei suoi disegni si vede un nativo Nahuatl che mangia un fungo con riflessi bluetti [2], secondo alcuni autori si tratterebbe di Psilocybe caerulea.

Dopo la conquista Spagnola delle Americhe il loro consumo venne proibito insieme alle altre sostanze psicotrope naturali e riti tradizionali per permettere l’instaurazione della nuova religione cristiana [3]. Tuttavia in alcune zone l’usanza è sopravvissuta fino ai giorni nostri. Continua qui

GUATEMALA
Lowy ha identificato la Psilocybe mexicana vicino Città del Guatemala, ipotizzando l’eventuale presenza di un culto collegato al fungo [4]. Questa possibilità è supportata dal ritrovamento nella zona di pietre e motivi fungoidi [5].

COLOMBIA
I pettorali di Darien ed altri reperti rinvenuti in Colobia sono stati associati per la loro forma a diverse specie di fungo psicoattive, alcuni autori ipotizzano che venissero impiegati a scopo rituale dai sacerdoti Muisca prima della colonizzazione spagnola [6].

PERU’
Sono stati ritrovati diversi reperti datati 1200-200 a.C. raffiguranti immagini di funghi di diversi generi tra cui Psilocybe che ne testimoniano l’impiego religioso e medicinale da parte della civiltà Moche [7]. Un monaco gesuita scrisse che i nativi Yurimagua mescolassero dei funghi che crescono sugli alberi caduti con una sorta di pellicola colorata adesa al legname marcio per fare una pozione narcotica molto potente [8]. Tuttavia non è chiaro di quale specie di funghi si tratti o cosa sia il secondo ingrediende, probabilmente un lichene.

COSTA RICA
In una tomba regale in Costa Rica è stata ritrovata una statua di ceramica a forma di fungo insieme a delle effigi intagliate nella giada ed inalatori di snuff. Insieme ad altri artefatti testimonia il consumo dei funghi allucinogeni, tra cui Psilocybe aztecorum e caurulescens, nella zona [9].

AFRICA
Guzman ha ipotizzato che gli Psylocibe venissero impiegati da sempre in Africa sulla base della scoperta della specie autoctona P. natalensis [10]. Altri autori ne avevano già spiegato la presenza attraverso una recente introduzione dai marinai provenienti dalle Americhe [11]. In ogni caso non ci sono reperti o tracce che testimoniano un eventuale utilizzo di questa specie da parte delle popolazioni africane.

Nel 1989 l’etnomicologo Giorgio Samorini ha ipotizzato che i dipinti delle cave di Tassili n’Ajjer nel deserto del Sahara ritraessero figure e simboli fungoidi che dimostrerebbero l’impiego di psichedelici nella zona intorno al VII secolo a.C [12]. La teoria è stata poi ripresa da Terence McKenna nel suo Food of the Gods (in italiano Il Cibo degli Dei, 2019] dove si parla di una popolazione neolitica dedita al consumo dei funghi a scopo rituale e religioso [13], molti autori però non considerano realistica l’associazione delle figure ai funghi.

Rappresentazioni fungiformi sono state rilevate tra le corone degli antichi faraoni egiziani [14]. Nel sito archeologico di Bella Vista nello Stato Libero dell’Orange sono stati scoperti dei disegni che ritraggono un gruppo di uomini danzanti coperti da funghi con uno stile caratteristico della medicina sciamanica San [15].

EUROPA
L’unica applicazione etnofarmacologica degli Psilocybe in Europa è registrata in Transilvania, dove i carpofori freschi vengono applicati sulla pelle per il trattamento delle verruche [16].

In Spagna le pitture rupestri nella cava di Selva Pascuala risalenti all’ 8000 a.C. sembrano suggerire il consumo rituale dei funghi, forse Psilocybe hispanica, nella zona di Villar del Humo. Tuttavia sono necessarie altre indagini per identificare con sicurezza la specie [17].

A Farsala in Tessaglia è stato scoperto un rilievo datato 5000 a.C. relativo ai Misteri Eleusini raffigurante due divinità femminili entrambe con un fungo in mano [18]. Diversi autori ipotizzano che i riti comprendessero il consumo di piante e funghi psicotropi.

Le capigliature fungiformi raffigurate nelle incisioni rupestri rinvenute nell’altopiano di Ukok in Siberia sembrano suggerire che l’impiego rituale dei funghi sia sopravvissuto in Europa occidentale fino all’età del Bronzo [19]. Altri autori hanno identificato rappresentazioni fungiformi dall’analisi di prodotti metallurgici e petroglifi neolitici in Scandinavia, senza riuscire a chiarirne con precisione il contesto rituale o le specie [20].

Nella cattedrale del 1020 a.C di Hildesheim in Germania è raffigurato un albero simboleggiante il peccato originale con un cappello fungiforme. I dettagli accurati della rappresentazione permettono di riconoscere la specie P. lanceata, molto comune in Europa [21].

INDIA
Alcuni artefatti noti come kuda-kallu sono stati rinvenuti in India nel territorio di Karnatake, Kerale e Tamil Nadu in India.
Secondo Samorini ci sono buone probabilità che si tratti di rappresentazioni di funghi psicotropi lasciate da una antica civiltà megalitica, forse anche Psilocybe cubensis o aztecorum comuni nella regione di Kodaikanal [22].

VIETNAM, TAILANDIA E CAMBOGIA

Nel 1907, tre anni dopo il primo avvistamento dei P. cubensis a Cuba, il botanico francese, Patouillard li ritrovò a Tonkin in Vietnam [23]. La rivista Usa di controcultura Head Magazine pubblicò anche delle foto dell’isola di Bali dove si vedevano dei funghi microscopicamente identici ai cubensis.

Questi dati riaprivano la questione sull’origine africana dei cubensis postulata da Guzman: secondo l’autore sarebbero arrivati a Cuba attraverso il bestiame, Bos indicus, imbercato sulle navi degli schiavi. Nel 1988 Terence McKenna elaborò un altra teoria su un eventuale origine asiatica: nel sito di archeologico di Non Nak Tha sono state ritrovate infatti ossa di Bos indicus in mezzo a delle tombe di 15.000 anni fa [24].

L’antica usanza di commerciare e usare in cucina i funghi psilocibinici nelle isole di Ko Samui e Ko Phangan supporta le teoria Tailandese [25]. Considerando che l’origine del Bos indicus è asiatica, si potrebbe pensare che la specie sia originata in Asia e da lì sia passata in Africa e nel resto del mondo.

NUOVA GUINEA
Diverse specie del genere Psilocybe crescono spontanee sullisola di Papua Nuova Guinea, ma i dati su un loro utilizzo non sono molti. P. kumaenorum viene consumato a scopo rituale insieme ad altri funghi dai Bimin-Kuskusmin della Provincia Occidentale di Sepik [26]. I Taierora mangiano crudi dei funghi “piccoli e lunghi” che fanno perdere la ragione [27], alcuni autori ipotizzano che la specie sie P. papuana per via delle caratteristiche morfologiche.

SOMA E CULTURA VEDICA
In articolo recente due ricercatori hanno ripreso le teorie di Gordon Wasson e proposto l’Amanita muscaria e gli Psilocybe come potenziali ingredienti della leggendaria bevanda della religione vedica nota come Soma sulla base delle sculture dei templi di Khajuraho [28].

La maggior parte degli autori concorda nell’identificare il Soma con l’Amanita muscaria che era l’enteogeno più diffuso tra le antiche culture sciamaniche dell’Eurasia, tuttavia la deforestazione o altri eventi avrebbero potuto limitarne la disponibilità venendo poi soppiantata da funghi fimicoli come gli Psilocybe.

Nel 2015 Mike Crowley, analizzando i dati liturgici del Sadhanamala e le tradizioni associate al mito dell’acqua della vita eterna, ipotizzò che l’Uṣṇīṣa, la caratteristica protuberanza cranica tipica di alcune figure religiose indiane, simboleggiasse i funghi psilocibinici. Anche nel corredo rituale del buddismo Giapponese ritrovò immagini fungoidi simili ad alcune specie Psilocybe locali come P. liniformans e P. argentipes. Da ulteriori analisi sul significato dei nome delle divinità Uṣṇīṣas sono emersi termini relativi alle loro caratteristiche botaniche e ai loro effetti farmacologici [29].

CRISTIANESIMO
Gli antropologi Jerry Brown e Julie Brown hanno raccolto diverse evidenze iconografiche durante il loro lavoro in Europa e nel Medio Oriente che suggeriscono la presenza di raffigurazioni di Psilocybe nell’arte cristiana, tuttavia la Chiesa ha sempre smentito le ipotesi su un suo passato enteogenico e la maggior parte della comunità scientifica ha aspramente criticato il lavoro precedente di Allegro[30].

I FUNGHI PSILOCYBE NEL MONDO OCCIDENTALE
Il primo occidentale ad assistere ad una cerimonia notturna con i funghi “magici” presso i Mazatechi ad Oaxaca fu l’antropologo Jean Bassett Johnson nel 1939, che però non li consumò. Schultes, recatosi anche lui ad Huautla de Jiménez in Messico, comprò due campioni dagli indigeni, ne raccolse un terzo direttamente sul campo e lo identificò come Panaeolus campanulatus var. sphinctrinus associandolo erroneamente al teonanácatl dei nativi Nahuatls [32].

Analisi successive hanno rilevato che uno degli altri campioni era Psilocybe cubensis, l’altro, identificato in un primo momento come Deconica sp., è stato riconosciuto da Guzman come P. caerulea.
Heim identificò le diverse specie del genere Psylocibe come i principali funghi psilocibinici consumati in Messico [32].

Nel ’55 Wasson seguì la pista di Schultes a Huautla e divenne il primo occidentale a consumare i funghi sacri in contesto rituale sotto la guida di uno sciamano Mazateco [33], un anno dopo Hoffman isolò dai funghi Mazatechi un alcaloide indolico simile all’LSD che chiamò psilocibina [34]. Negli anni ’60 è stata ampiamente testata in psicoterapia e nella cura dei disturbi mentali, con ulteriori test e sperimentazioni (autorizzate) negli ultimi anni in vari ambiti medici nel contesto del diffuso interesse per la nuova medicina psichedelica.

FARMACOLOGIA
Una volta assimilata la psilocibina viene fosforilata in psilocina, il metabolita attivo, che agisce come agonista per i recettori della serotonina nel seguente ordine di affinità: 5-HT2B > 5-HT1D > 5-HT1E > 5-HT1A > 5-HT5A > 5-HT7 > 5-HT6 > 5-HT2C > 5-HT1B > 5-HT2A. Si lega debolmente aNche ai trasportatori SERT e VMAT. Inoltre è attiva anche sui recettori D1 e D3 della dopamina, imidazolinico e adrenergico Alpha2A, 2B e 2C [35].

Allucinogeno
Negli anni ’60 Timothy Leary  e altri colleghi dell’Università di Harvard furono i primi  a somministrare la psilocibina a 175 volontari sani divisi in gruppi in un ambiente comune progettato per essere confortevole. Le esperienze dei soggetti risultarono molto variabili tra loro e riflettevano alcune differenze del campione come la conoscenza precedente della sostanza o le diverse aspettative, inoltre i gruppi ristretti si supportarono meglio e fecero un esperienza più gradevole.

I ricercatori ipotizzarono che la psilocibina potenziasse il grado di suggestionabilità rendendo un individuo più recettivo ad una vasta gamma di stimoli, positivi e negativi [36]. Queste scoperte vennero poi riprese da Berge che sottolineò per la prima volta l’importanza dei fattori relative a dose, set e setting nel dipanarsi dell’esperienza psichedelica [37].

Per molto tempo si è creduto che l’azione allucinogena della psilocibina fosse dovuta all’agonismo per il recettore 5-HT2A e che gli effetti allucinogeni e psicotropi fossero spiegati da quel solo meccanismo, tuttavia una ricerca recente ha dimostrato il ruolo altrettanto importante dell’autorecettore 5-HT1A che media l’inibizione dell’attività del nucluo dorsale del rafe [38].

Si pensa che le allucinazioni visive siano dovute all’attivazione postsinaptica del recettore 5-HT2A nel V strato della corteccia preforontale mediale, l’iperattività di questo recettore impedisce infatti il corretto funzionamento della trasmissione talamica dell’informazione sensoriale e cognitiva [39]. L’azione sul recettore 5-HT1A provoca invece l’aumento indiretto del rilascio della dopomina nel corpo striato ventrale, meccanismo che è stato correlato ai sintomi di depersonalizzazione ed euforia negli umani [40].

Anche il sistema del glutammato ha un ruolo molto importante: il legame per il recettore metabotropico mGlu2 si è dimostrato fondamentale per gli effetti psichedelici [41]. Da uno studio randomizzato a doppio cieco si è visto che la somministrazione di psilocibina riducesse i livelli di glutammato nell’ipotalamo, evento strettamente correlato con il fenomeno di dissoluzione dell’ego [42]. Un lavoro condotto un anno prima aveva individuato il principale meccanismo nella perdita di connettività della DMN antero-posteriore, suggerendo che riflettesse l’alterazione della consapevolezza di se e gli outcome cronici positivi dell’esperienza nella quotidianità [43]. Tramite risonanza magnetica funzionale si è visto che l’azione psichedelica si manifesta nella diminuzione dell’attività e della connettività nelle principali aree di connessione neurale che permette una sorta di cognizione illimitata [44].

Aumenta la connettività funzionale dello stato di riposo (RSFC) delle reti unimodali con le eteromodali, diminuendo allo stesso tempo la RSFC intermodalità. L’incremento tra rete visiva e quelle solitamente riservate ad altre funzioni potrebbe tradursi in associazioni percettive erronee come le classiche cinestesie, la rete di default neurale (DMN) potrebbe collegare l’immaginazione alla percezione visiva [45].

Provoca l’aumento della connettività di DMN con la rete compito-positiva (TPN), con conseguente compromissione dell’ortogonalità tra le due reti. In questo modo viene a mancare la separazione tra introspezione, mediata da DMN, ed estroversione, da TPN [46]. In uno studio recente su adulti sani mediante elettroencefalografia (EEG) si è visto che la diminuzione della potenza dell’onda alfa pre-stimolo parieto-occipitale e del potenziale precoce PI e N170 evocato dalla vista fosse correlata all’insorgenza delle distorsioni visive e delle allucinazioni [47].

In una ricerca randomizzata a doppio cieco su 15 soggetti sani la psilocibina ha ridotto la connettività funzionale di claustro sinistro e destro. Inoltre diminuisce la connettività del destro con DMN e rete uditiva, potenziando quella con la rete di rete di controllo frontoparietale (FPCN). La connettività tra sinistro e FPCN viene invece ridotta. Questi dati suggeriscono che il claustro giochi un ruolo importante nell’esperienza psichedelica da psilocibina [48].

Incrementa l’espressione dei geni erg-1, erg-2, c-fos, jun-B, period-1, gpcr-26, fra-1, N10, I-κBα e riduce quella di sty-kinase; c-fos sembra relativo all’aumento nel grado di attivazione neuronale, mentre egr-1/ egr-2 sembrerebbero specifici per gli effetti allucinogeni [49].

Gli alti dosaggi alterano il processamento temporale impedendo la riproduzione temporale di intervalli superiori ai 2.5 secondi e la sincronizzazione senso-motoria di intervalli superiori a 2 secondi, oltre a rallentare il ritmo percussione.
Questi deficit sono stati correlati ai fenomeni soggettivi di depersonalizzazione, derealizzazione e espansione temporale [50].

Ansiolitico, antidepressivo, antiadditivo
La psilocibina ha ridotto il flusso sanguigno cerebrale (CBF) nella corteccia temporale e nell’amigdala, questo meccanismo, insieme all’aumento della RSFC inter DMN e alla diminuzione tra paraippocampo e corteccia prefrontale, è stato correlato con una riduzione dei sintomi depressivi.

Da un analisi esplorativa a posteriori è emerso che le alterazioni della RSFC del paraippocampo coincidessero con il picco dell’esperienza psichedelica [51]. La somministrazione nei volontari sani può indurre un esperienza di tipo mistico con conseguenti miglioramenti a carico di umore, personalità e comportamento persistenti oltre i 14 mesi in misura dose dipendente [52].

Riduce la densità della sorgente di corrente cerebrale (CSD) a 1.5 – 20 Hz entro la rete neurale delle regioni paraippocampali e della corteccia cingolata posteriore ed anteriore. L’intensità dell’esperienza spirituale è stata correlata con la sincronizzazione del ritardo di fase delle oscillazioni delta (1.5 – 4 Hz) tra corteccia restrospinale, paraippocampo e area orbitofrontale [53].

L’uso di psilocibina nel corso della vita sembra protettivo nei confronti dello stress psicologico e del rischio di suicidio [54].
Da esperimenti sui topi si è visto che potesse estinguere il condizionamento della paura pavloviano, potenziando allo stesso tempo la neurogenesi nell’ippocampo. I ricercatori ipotizzano possa avere potenziali applicazioni nel trattamento della sindrome da stress post traumatico [55].

Il trattamento alla psilocibina riduce la reattività dell’amigdala agli stimoli negativi, meccanismo che è stato correlato alla riduzione di ansia e al miglioramento dell’umore. I ricercatori ipotizzano che la psilocibina potrebbe avere un effetto terapeutico importante nei casi di depressione maggiore caratterizzati da iperattività dell’amigdala [56]. Migliora l’elaborazione delle emozioni facciali nei casi di depressione resistente, riducendo l’anedonia [57]. Già dopo 2 somministrazioni sembra ridurre notevolmente i sintomi della depressione grave e resistente fin a 6 mesi post-trattamento [58]. L’effetto antidepressivo sembra mediato dalla disconnessione e dalla successiva riconnessione con se, gli altri e il mondo che caratterizza l’esperienza psichedelica.

La psilocibina sembra agire in maniera opposta rispetto ai farmaci convenzionali che permettono il controllo dei sintomi: libera le emozioni represse e lavorando sull’accettazione del negativo [59]. È stata proposta come farmaco di prima linea per il trattamento di depressione ed ansia associate alle malattie terminali come il cancro data la sua dimostrata efficacia e sicurezza in diversi trial clinici [60].

I pazienti oncologici sottoposti al trattamento psicoterapico con la psilocibina riportano sensazioni di radicamento relazionale, sensibilità agli stimoli ambientali e alla musica, visioni piene di significato, lezioni interiori di saggezza, cambiamento delle priorità nella propria vita e desiderio di ripetere l’esperienza. Alcuni soggetti parlano di un lasciarsi andare, accettare meglio la propria condizione [61].

È stata impiegata in ambito clinico per il trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo dimostrandosi efficace e priva di effetti collaterali [62].

Da una revisione sistematica sui trial clinici pubblicati negli ultimi 25 è emerso l’alto potenziale della psilocibina per il trattamento di dipendenza da alcol, tabacco, ansia, depressione farmaco-resistente ed associata alle malattie terminali [63].
La disregolazione del sistema serotoninergico sembra mediare gli stati depressivi indotti da alcol ed altre sostanze d’abuso, la psilocibina attiva la rete di controllo esecutivo alleviando i pensieri negativi persistenti [64].

Un articolo recente ha messo in evidenza l’alto potenziale terapeutico della psilocibina nei confronti delle complicanze psichiatriche indotte dall’emergenza del COVID-19 [65].

Empatogenico
Da una ricerca recente su volontari sani si è visto che la psilocibina potenzi l’empatia emozionale senza alterare il comportamento morale. I ricercatori ipotizzano che gli agonisti del recettore 2A/1A della serotonina come la psilocibina possano avere potenziali applicazioni nel trattamento della cognizione sociale disfunzionale [66]. Una singola somministrazione in un contesto sociale può indurre miglioramente subacuti a carico di pensiero creativo, empatia e benessere soggettivo [67].

In uno studio randomizzato a doppio cieco condotto su volontari sani la somministrazione di psilocibina a diversi dosaggi ha migliorato il grado di consapevolezza identificato dal punteggio della Altered States of Consciousness Rating Scale (5D-ASC), tuttavia i dosaggi moderati ed alti hanno disturbato la capacità di concentrazione dei soggetti individuata da una riduzione del 50% nel punteggio medio nel test Frankfurt Attention Inventory (FAIR). Inoltre ha incrementato attivazione generale, eccitabilità emozionale e fantasia creativa a tutti i dosaggi [68].

Le esperienze di tipo mistico associate alla meditazione o a pratiche spirituali sono state correlate ad un marcato aumento nei comportamenti prosociali e nel sano funzionamento psicologico [69]. In una ricerca sui 5 domini generali della personalità ha incrementato l’apertura mentale in accordo coi report soggettivi dei partecipanti su immaginazione, creatività ed apprezzamento estetico.

In chi ha fatto un esperienza mistica l’incremento è rimasto stabile fino a più di un anno dalla sessione [70]. Ha ripristinato le normali attitudini sociali nei modelli animali da autismo indotto con acido valproico [71].

 

FONTI

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