[ Articolo di Gianluca Toro* ]
Lo studio degli effetti e dei meccanismi di azione degli psichedelici in generale e delle connessioni tra mente e cervello ha portato a nuovi approcci psicoterapeutici alle psicosi. Ciò ha permesso di proporre una funzione psicoterapeutica per gli psichedelici in diversi casi come stress psichico, nevrosi (anche traumatiche), sindromi depressive, disturbi del comportamento e del carattere, squilibri della personalità e sofferenza e angoscia nelle malattie terminali, oltre che nella cura della dipendenza da sostanze di abuso (Camilla 1996; Strassman 1995).
Gli psichedelici possono accelerare il processo psicoterapeutico migliorando le associazioni mentali, intensificando le emozioni, riportando in superficie ricordi passati e materiale inconscio, contenendo la rimozione e amplificando certi aspetti del transfert (Strassman 1995). I risultati psicoterapeutici ottenuti dipendono dall’efficacia del lavoro analitico e non dalle proprietà intrinseche delle sostanze usate, che non sono inerentemente terapeutiche e rimangono un elemento tra i molti che compongono il processo psicoterapeutico (Camilla 1996; Strassman 2001).
L’uso psicoterapeutico degli psichedelici rappresenta una fase importante nella maturazione individuale. Il paziente diventa meno ansioso e nevrotico, più aperto emotivamente, più sicuro di sé stesso e delle sue possibilità e più confidente nel proprio futuro, aumenta l’importanza di elementi quali l’autopercezione, l’indipendenza individuale, il raggiungimento di scopi, la creatività, l’appagamento spirituale e il riconoscimento sociale. Si comprendono meglio il valore, le prospettive e gli scopi della propria vita, la vita stessa diventa più interessante e significativa, registrando anche modifiche positive negli atteggiamenti verso differenti aspetti della vita stessa nonché della morte e nel modo di vedere il mondo (Krupitsky & Grinenko 1996).
Esistono tre tipi di approcci psicoterapeutici in cui si usano psichedelici, ovvero la terapia psicolitica, la terapia psichedelica e la terapia ipnodelica. Essi si possono esemplificare nel caso dell’LSD (Camilla 1996).
La terapia psicolitica nacque come una modifica della psicoterapia a indirizzo analitico. Essa consiste nella somministrazione di dosi basse o medie di LSD (75-200 μg) ogni settimana od ogni 15 giorni. Il numero di sedute dipende dalla natura del problema clinico e dallo scopo psicoterapeutico, variando da 10-15 fino a 100 con una media di 40. Il fine è quello di fare emergere materiale inconscio da analizzare durante la seduta stessa o successivamente in sedute tradizionali senza assunzione della sostanza. In confronto al normale lavoro analitico, nella terapia psicolitica il processo di riemersione del materiale inconscio è molto più accelerato e approfondito (Camilla 1996).
La terapia psichedelica si basa su un’unica somministrazione, o per un numero molto limitato di sedute, di una dose alta di LSD (300-600 μg) accompagnata da una psicoterapia intensiva. Lo scopo è quello di ottenere un’esperienza altamente destrutturante che possa risultare in un cambiamento radicale della personalità del paziente (Camilla 1996).
Nella terapia ipnodelica la somministrazione di LSD è combinata all’ipnosi. In questo caso il paziente è ipnotizzato prima della somministrazione della sostanza in modo da poterlo indirizzare su precisi percorsi (Camilla 1996).
I cambiamenti ottenuti in una singola seduta psichedelica sembrano più profondi di quelli di una singola seduta psicolitica, con un maggiore “sconvolgimento” emotivo e una maggiore probabilità di penetrare nei diversi livelli psicodinamici. Rispetto a quella psichedelica la terapia psicolitica fornisce una migliore conoscenza dei processi psichici, rivelandosi più adatta a pazienti che soffrono di condizioni non troppo gravi e con interessi intellettuali circa la natura del processo psicoterapeutico. La terapia psichedelica è molto efficace in caso di gravi disturbi caratteriali e dipendenza da sostanze di abuso. La terapia ipnodelica è adatta al trattamento di disturbi psicosomatici e sessuali, nevrosi, sindromi depressive, disordini caratteriali e stati borderline e psicotici, ma anche di dipendenza da sostanze di abuso (Camilla 1996).
La terapia psichedelica con ketamina si rifà ai principi di quella con LSD (Jansen 2001). Questa terapia può ricongiungere l’Io con parti negate del Sé, portare a una riconnessione con campi più ampi come famiglia, comunità, pianeta e universo e indurre esperienze spirituali (Krupitsky & Grinenko 1996). Ricordiamo che i deprimenti del Sistema Nervoso Centrale possono avere effetti negativi sulle esperienze transpersonali con ketamina, a causa di eccessiva sedazione, e che in genere i consumatori abituali di psichedelici hanno una minore probabilità di vivere un’esperienza unica e trasformativa (Kolp et al. 2007). Come in ogni psicoterapia, anche in quella con ketamina sviluppare un legame empatico tra paziente e terapeuta è molto importante, così come comunicare al paziente di aspettarsi un’esperienza piacevole, il che si è rivelato di maggiore successo rispetto alla somministrazione di sedativi per prevenire esperienze negative. D’altro canto alcuni psicoterapeuti non scoraggiano il verificarsi di esperienze negative perché possono essere associate alla negatività del problema da trattare (Jansen 2001). Inoltre la ketamina aumenta la suggestionabilità, per cui lo psicoterapeuta può indurre nell’inconscio del paziente determinati suggerimenti, ma interferisce con la comunicazione rimuovendo psicologicamente il paziente dall’ambiente in cui si trova e dalla relazione con il terapeuta. A questo si può ovviare con iniezioni ripetute di ketamina a dosi basse o con un predosaggio di stimolanti (Jansen 2001; Kurgunstev 1991; Rollo & Samorini 1998).
I primi a usare la ketamina in psicoterapia furono lo psichiatra J. Bastiaans in Olanda, Fontana y Col in Argentina e lo psichiatra S. Roquet in Messico (Fontana y Col 1974; Kolp et al. 2007; Ossebaard & Maalste 1999). Fontana y Col facilitava una regressione a livello prenatale attraverso un’esperienza di disintegrazione e prossima alla morte (NDE), seguita da un processo in progressione considerato simile alla rinascita, oltre a usarla contro la depressione. Roquet fu il primo clinico a usarla in psicoterapia di gruppo (Kolp et al. 2007). Negli anni ’60 e ’70 egli sviluppò il metodo della psicosintesi con somministrazione di gruppo di sostanze psicoattive, combinando tecniche psicoanalitiche e cerimonie messicane di guarigione. I pazienti erano stressati e molestati con immagini sgradevoli e angosciose e musica stridente e caotica, per poi terminare in modo più soave e disteso (Hidalgo Downing 2005). Roquet trattò perlopiù nevrotici ed ebbe anche successo con psicotici e chi soffriva di disordini della personalità (Kolp et al. 2007).
L’effetto antidepressivo della ketamina a somministrazione singola si manifesta entro 1 h e dura da 3 a 14 giorni (D’Arienzo & Samorini 2019).
In uno studio è stata valutata l’efficacia della ketamina nel trattamento della depressione unipolare (anche psicotica) e bipolare, con ansietà e disordine di personalità instabile. Nella prima fase è stata somministrata ketamina per infusione 1 volta alla settimana per 3 settimane, mentre nella seconda si è passati a 2 volte alla settimana per 3 settimane, alla dose di 0,5 mg/kg per via endovenosa in 40 min. I pazienti sono stati seguiti per 6 mesi. I risultati hanno mostrato che il 14% dei rispondenti al trattamento ha raggiunto i criteri di remissione, mentre il 61% ha ridotto l’idea di suicidio entro 6 h dalla somministrazione di una singola dose. Si sono verificati effetti collaterali acuti, tra cui vomito durante la somministrazione, ansietà marcata, intensificazione di idee suicidiarie (con predisposizione precedente) e un episodio vasovagale di 10 min. (Diamond et al. 2014). Un altro studio ha mostrato che con infusioni multiple di ketamina il tempo medio di ricaduta è stato di 19 giorni dopo 6 infusioni (mentre un soggetto non ha avuto ricadute per oltre 3 mesi) in un caso e 18 giorni dopo 5 infusioni in 2 settimane in un altro. In entrambi questi studi i soggetti non hanno assunto gli usuali antidepressivi prima di iniziare il trattamento, e la maggior parte ha mantenuto questa condizione fino alla ricaduta (Aan het Rot et al. 2010; Murrough et al. 2013).
Ancora, ad alcuni pazienti è stata somministrata la dose di 0,5 mg/kg di ketamina in 40 min. Gli effetti antidepressivi sono comparsi dopo 24 h-4 giorni mantenendosi fino a 2 settimane, con il 30% che poteva essere considerato in remissione (Sanjay & Zarate [Jr.] 2016). In un altro caso, a seguito di una somministrazione singola il 29% dei pazienti ha mostrato remissione dopo 3 giorni e il 60 e 64% rispettivamente dopo 3 e 7 giorni (Aan het Rot et al. 2012; Murrough et al. 2013).
In altri studi, pazienti con depressione maggiore che non erano in trattamento farmacologico hanno ricevuto la dose di 0,5 mg/kg di ketamina, riportando un miglioramento dei sintomi (Berman et al. 2000; Evans et al. 2018). I risultati dei test psicometrici relativi a uno studio su pazienti con depressione maggiore, a cui è stata somministrata ketamina alla dose di 0,54 mg/kg in 30 min., hanno mostrato che un punteggio più alto per gli effetti psicoattivi era correlato a miglioramenti più significativi dello stato depressivo (Sos et al. 2013). La ketamina è stata somministrata anche per via sublinguale a pazienti con depressione maggiore resistente ai trattamenti convenzionali o con depressione bipolare, ripetendo l’assunzione dopo 2-3 giorni o settimane, risultando in una buona azione antidepressiva (Diogo et al. 2013).
In un altro studio i pazienti hanno ricevuto la dose 0,5 mg/kg di ketamina per via endovenosa durante 12 giorni ogni 2 giorni, con un’efficacia maggiore rispetto alla somministrazione singola e risultando nel 48,1 % di remissione (Zheng et al. 2019).
Per il rischio di suicidio in pazienti con depressione maggiore si è registrato un miglioramento significativo dei sintomi entro circa 4h dalla somministrazione di ketamina (DiazGranados et al. 2010). Citiamo anche uno studio in cui pazienti a cui è stato diagnosticato di recente il cancro (in generale piuttosto soggetti alla depressione con rischio di suicidio), hanno ottenuto un miglioramento dei sintomi entro 1 giorno dalla somministrazione di 0,5 mg/kg di ketamina in 40 min., mantenendosi come minimo per 3 giorni (Fan et al. 2017). D’altra parte nel caso di depressione cronica severa con idee di suicidio la dose di 0,75 mg/kg si è rivelata più efficace di quella a 0,5 mg/kg (Cusin et al. 2016; Ionescu et al. 2019). Ricordiamo ancora che persone con tendenze suicide, le quali hanno sperimentato una NDE con la ketamina, nonostante una più solida credenza in una vita dopo la morte presentano un rischio minore di ripetere il tentativo in confronto a un rischio 50-100 volte maggiore per chi non ha mai sperimentato la sostanza (Greyson 1992-1993).
La ketamina può bloccare lo sviluppo della tolleranza e la dipendenza fisica da sostanze tra cui alcool, benzodiazepine, barbiturici, eroina e cocaina (Khanna et al. 1997, 1998; ECDD 2014). Dal 1985 a Leningrado il gruppo di lavoro dello psichiatra E.M. Krupitsky ha iniziato a usare la ketamina nella terapia assistita per l’alcoolismo, denominata “Ketamine Psychedelic Therapy” (KTP) (Jansen 2001; Krupitsky & Grinenko 1997). In questo contesto gli effetti della ketamina sono stati sperimentati su maschi alcoolisti volontari insieme a un gruppo di controllo. In una prima fase essi hanno trascorso 3 mesi in ospedale, durante i quali sono stati trattati i problemi fisici, l’ansietà e la depressione. È seguita una terapia individuale, indagando la storia personale, le relazioni, le cause della dipendenza, i motivi che hanno portato al trattamento, i fattori che avrebbero ostacolato o aiutato il progresso terapeutico e i propositi futuri per una vita sobria, in modo da aiutare a percepire le radici inconsce dei problemi generati dall’alcoolismo, concentrarsi sui valori individuali e sul concetto del Sé, migliorare i disturbi legati alla personalità e dare un nuovo impulso alla vita ed enfasi agli aspetti positivi della sobrietà e a quelli negativi della dipendenza.
Ai partecipanti era stato preventivamente comunicato di aspettarsi cambiamenti positivi nella personalità che li avrebbero aiutati a diventare sobri, e che avrebbero potuto sperimentare delle esperienze fuori dal corpo (OBE). Nella seconda fase ai pazienti sono stati iniettati per via intramuscolare bemergide ed etimizolo e poi ketamina (2-3 mg/kg) con sottofondo di musica soave. Durante il plateau il terapeuta faceva odorare e assaggiare alcool ai pazienti e li guidava nell’associare la reazione negativa indotta dal bemergide all’odore e al sapore dell’alcool stesso. È seguita la discussione e l’interpretazione dell’esperienza, dopo che il paziente ne aveva scritto un resoconto. La terza fase consisteva in una terapia di gruppo il giorno successivo in cui furono interpretati i significati personali degli aspetti simbolici emersi, valutando i loro legami con i problemi individuali in modo da rafforzare il desiderio del paziente di una vita sobria e stabile. Dopo 1 anno il 66% si era astenuto dall’alcool (contro il 30% della terapia tradizionale), il 27% aveva subito una ricaduta mentre per il 7% non si sono potuti ottenere dati. Nel gruppo di controllo, trattato con metodi convenzionali, solo il 24% è rimasto sobrio mentre il 69% ha avuto una ricaduta. A seguito di test effettuati prima e dopo il trattamento per valutare il cambiamento di personalità, si sono notati miglioramenti significativi. Cambiamenti positivi si sono registrati per la forza dell’Ego, il concetto del Sé, la capacità di esprimere sé stessi e le attitudini emotive (maggiore apertura emozionale). I soggetti erano meno ansiosi, più sicuri, equilibrati, autosufficienti, responsabili e maturi, con maggiore capacità di autoregolarsi e raggiungere i propri obiettivi e più fiduciosi nella capacità di controllare la propria vita.
Si è anche registrato maggiore interesse per i valori e il senso della vita e per lo sviluppo spirituale, maggiore creatività e miglioramento della vita famigliare e di società. Si sono anche registrati cambiamenti utili nelle attitudini emotive non-verbali verso i parenti stretti e il terapista e nella percezione del Sé ideale e dell’ “Io sobrio”, mentre la valutazione dell’ “Io ubriaco” era più negativa, senza contare che l’emersione e l’espressione di attitudini emotive non-verbali portavano a un minore conflitto tra attitudini verbali consce e non-verbali inconsce rispetto all’alcool, la personalità e altre persone. Rimarchiamo l’assenza di complicazioni psicologiche e il fatto che i pazienti non hanno usato ketamina al di fuori dell’ambito clinico.
In un altro studio sono state effettuate prove per confrontare l’efficacia relativa di 0,2 mg/kg (dose bassa) e 2,0 mg/kg (dose alta) di ketamina in unica somministrazione per via intramuscolare nel trattamento della dipendenza da eroina. Dopo 2 anni il trattamento con la dose alta si è rivelato più efficace determinando una più duratura riduzione del desiderio per la sostanza, una percentuale significativamente superiore di astinenti nei primi 24 mesi, minore percentuale di recidivi, migliore integrazione psicologica e maggiori cambiamenti positivi nelle attitudini emotive inconsce non-verbali (Krupitsky et al. 2002). Ancora, in un altro studio a un gruppo di soggetti sono stati somministrati 2,5 mg/kg (dose alta) di ketamina per via intramuscolare mentre il gruppo di controllo ha ricevuto 0,25 mg/kg (dose bassa), sempre per via intramuscolare. I risultati hanno mostrato che il primo dosaggio ha dato risultati migliori del secondo quando entrambi sono accompagnati da una psicoterapia (Krupitsky et al. 1999-2000). Inoltre la ketamina, somministrata con morfina, evita la tolleranza alla morfina stessa (Gonzalez et al. 1997; Shimoyama et al. 1996).
Citiamo ancora uno studio in cui alcuni pazienti di un centro di disintossicazione da eroina sono stati divisi in 2 gruppi prima di essere dimessi. Il primo gruppo ha seguito 2 sedute di psicoterapia convenzionale e 2 terapie con ketamina, a differenza del secondo trattato con 2 sedute di psicoterapia convenzionale e 1 terapia con ketamina. Dopo 1 anno è risultato che per il primo gruppo l’astinenza continuata era maggiore (50%) rispetto al secondo (22%) (Krupitsky et al. 2007).
Per quanto riguarda la dipendenza da cocaina, alcuni pazienti a cui è stata somministrata ketamina hanno mostrato maggiore motivazione a interrompere l’uso della sostanza e una riduzione del desiderio per la stessa dopo un’esperienza di tipo mistico, a confronto con un placebo attivo (midazolam) (Dakwar et al. 2014, 2018).
La ketamina ha anche trovato impiego nel trattamento della compulsività nei disordini alimentari, bulimia, ipocondria, amnesia psicogena, isteria, disordini nevrotici e di tipo ossessivo-compulsivo e fobico, disordini della personalità evitante e istrionica, disturbi dissociativi (come la paralisi isterica) e disordine da stress post-traumatico (Hidalgo Downing 2005; Khorramzadeh & Lofty 1973; Krupitsky & Grinenko 1997; Mills et al. 1998; Rollo & Samorini). Per il disturbo ossessivo-compulsivo il trattamento con ketamina ha portato, per una paziente sofferente di un’ossessione di simmetria-esattezza, alla scomparsa completa dei sintomi durante il plateau e a una loro riduzione significativa nei successivi 6 giorni (Rodriguez et al. 2011).
In un altro studio, la somministrazione di 0,5 mg/kg di ketamina in 40 min. ha determinato nel 50% dei pazienti una riduzione significativa dei sintomi protrattasi fino a 7 giorni dopo il trattamento (Rodriguez et al. 2013). Per il disordine da stress post-traumatico citiamo uno studio in cui alcuni pazienti sono stati trattati con ketamina alla dose di 0,5 mg/kg a confronto con un placebo attivo (midazolam). Il miglioramento dei sintomi è avvenuto in breve tempo, estendendosi per più di 24 h e fino a 2 settimane per il 17,1% dei pazienti (Feder et al. 2015). La ketamina ha mostrato buoni risultati nel trattamento di una variante del disturbo bipolare pediatrico nota come “paura del pericolo”. È il caso di uno studio su bambini di 10 anni trattati con ketamina per via intranasale alla dose di 30-120 mg, in particolare con riduzione di aggressività, ansia e paura del pericolo, oltre a una migliore qualità del sonno. Il trattamento è stato ripetuto ogni 3-7 giorni (Papolos et al. 2013). La ketamina è anche impiegata per trattare l’ansia e la fobia sociale (D’Arienzo & Samorini 2019).
In uno studio su topi la ketamina è stata somministrata a 5 intervalli di tempo durante un’esperienza che induce paura, in modo da determinare se la sostanza fosse efficace nel ridurre l’espressione della paura stessa o prevenirne la riattivazione. Ai topi è stata somministrata una singola dose di ketamina (30 mg/kg) o soluzione salina in tempi diversi prima o dopo l’induzione. È risultato che la ketamina può tamponare la risposta alla paura quando somministrata una settimana prima come profilattico, ma non quando somministrata immediatamente prima o dopo un episodio che induce stress (McGowan et al. 2017).
Infine, in uno studio che non è stato svolto nell’ambito di una ricerca clinica formale è stata somministrata ketamina a due pazienti malati di cancro in fase terminale (150 mg per via intramuscolare). I pazienti sono stati preparati all’esperienza transpersonale e hanno formulato uno scopo psicospirituale con una fase di integrazione al termine dell’esperienza (1 alla settimana accompagnata da musica New Age). Durante le prime 3 esperienze si sono esplorate le credenze sulla vita dopo la morte e le attitudini verso la morte stessa. La settimana seguente un paziente aveva riferito che il dolore persistente e i ricorrenti attacchi di panico erano scomparsi e che poteva evitare l’assunzione di morfina e lorazepam. Rimase tranquillo fino alla morte 7 mesi dopo senza ricorso ad antidolorifici. Nello stesso set e setting il gruppo di controllo trattato con un placebo non ha evidenziato gli stessi benefici (Kolp et al. 2007).
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*Gianluca Toro è un chimico in campo ambientale. Si interessa di composti psicoattivi naturali nell’ambito dell’etnobotanica e dell’etnomicologia, nonché di composti psicoattivi sintetici, con particolare riguardo per l’aspetto chimico e farmacologico. Ha pubblicato articoli per riviste italiane, francesi, spagnole, tedesche e americane. Autore del libro Ketamina, un anestetico psichedelico (Nautilus, 2020).