A tre anni di distanza dal suo ultimo bestseller internazionale, How To Change Your Mind, di cui è in lavorazione la mini-serie per Netflix, Michael Pollan torna in libreria con il sequel This Is Your Mind On Plants: indagine a tutto campo sugli effetti di tre piante/sostanze psicoattive, assai diverse tra loro ma usate variamente dall’Homo Sapiens fin dalla notte dei tempi: oppio, caffè e mescalina.
Come si legge di primo acchitto nell’introduzione, si tratta dell’ultima “indagine personale” di un percorso avviato dall’autore oltre 30 anni fa per indagare al meglio il rapporto tra noi stessi e il mondo naturale in senso lato, dalle incursioni culinarie in vari ambiti e Paesi alle contaminazioni culturali alle nuove frontiere della consapevolezza umana e sociale.
Premesso che il nostro è un giudizio totalmente indipendente, come l’intero progetto-network di Psy*Co*Re, il libro interessa solo parzialmente il nostro ambito e presenta le sue brave luci e ombre. Soprattutto il lettore scafato, o chi prevedeva un approfondimento del precedente lavoro puntato a svelare la “psichedelia per le masse”, resterà deluso. Chi è invece alle prime armi o mosso dalla curiosità, probabilmente si farà prendere dalla trama avvincente e potenzialmente ideale per una sceneggiatura cinematografica, come per i libri precedenti di Pollan.
D’altronde ormai sul tema il materiale online, sempre fresco e assai variegato, non manca affatto, grazie anche alla forzata conversione in streaming di convegni ed eventi vari. Qui di psichedelici se ne parla poco, appunto, solo nella terza sezione dedicata alla mescalina, puntando piuttosto a un obiettivo più ampio, sempre nel contesto generale di cui sopra. Ovvero: dato che da sempre gli esseri umani usano (e useranno) “droghe” di varia natura, è bene venirne a patti e limitarne gli effetti negativi. Ribadendo il fallimento globale della War on Drugs, e la necessità di pianificare i possibili scenari successivi, cioè la Peace On Drugs.
Posizione d’altronde in piena sintonia con il mutato clima culturale (in Usa soprattutto) e la volontà dei cittadini, puntellata da prestigiose testate scientifiche e da vari movimenti politici, E ribadita dallo stesso Pollan nelle prime apparizioni nei talk show TV (a parte gli ovvi riflettori sulla caffeina), in un lungo ma godibile podcast-intervista con Tim Ferris e soprattutto nel recente editoriale sul New York Times. Dove il suo messaggio si fa ancora più chiaro:
Dopo mezzo secolo speso a fare la guerra alla droga, gli americani sembrano pronti a chiedere la pace. Le elezioni del 2020 hanno fornito numerose prove del fatto che gli elettori hanno superato i politici nel riconoscere sia i fallimenti della War On Drugs sia il potenziale di alcune sostanze illecite come potenti strumenti di guarigione.
Qui Pollan mette a fuoco la relazione sempre più disfunzionale con le “droghe”, particolarmente nell’Occidente moderno, chiedendosi il perché di questo amore-odio e come mai la nostra cultura, così avanzata per tanti aspetti, continui a negare il desiderio universale di alterare la mente/psiche, per lucchettarlo invece dietro leggi e convenzioni, tabù e ansie collettive. E lo fa da par suo: stile divulgativo e preciso, ampio contesto storico-culturale, fact-checking rigorosissimo. Oltre che mettendoci la faccia e sperimentando in prima persona, come già per psilocibina, Dmt e ayahuasca (con l’assistenza di guide esperte) nel libro precedente. Qui descrive minuziosamente quanto gli succede quando pianta i papaveri da oppio nel suo giardino, stacca a freddo (per tre mesi) l’uso-dipendenza dal caffè, ingerisce prima la mescalina sintetica e poi partecipa a una cerimonia con il cactus San Pedro.
Peccato che però il tutto sembra in buona parte il rifacimento di storie già raccontate: il capitolo sull’oppio ripropone l’integrale del long read apparso sul mensile Harper’s nel lontano aprile 1997, con l’aggiunta delle parti allora tagliate perché legalmente rischiose e un commentario a spiegazione del tutto; quello sulla caffeina non e altro che una rielaborazione dell’audiobook dedicato allo stesso tema, uscito nel gennaio 2020; solo la sezione sulla mescalina è materiale originale, ma la trama e le sperimentazioni descritte ricalcano quanto già letto in How To Change Your Mind, chiudendosi poi del tutto bruscamente. Vale dunque la pena di addentrarci meglio in quest’ultima sezione, anche perché compete più direttamente al nostro spazio/progetto.
Rispondendo in parte a certe critiche che ritenevano la sua visione del revival psichedelico eccessivamente sbrigativa ed entusiasta, tesa alla ipermedicalizzazione ed enfaticamente consumista-capitalista, stavolta Pollan dedica ampio spazio all’aspetto ritualistico delle cerimonie dei nativi con il peyote. Suggerendo, per estensione, come tali pratiche siano importanti anche per gli occidentali moderni che vi si avvicinano per vari motivi, pur con i necessari aggiustamenti e tenendo fermo il contesto terapeutico monitorato da professionisti qualificati.
Una posizione più sfumata che trova espressione nel lungo racconto che apre questo capitolo, dedicato alla storia e alle attività della Native American Church (NAC), partendo dall’assunto che «il peyote è uno ‘psichedelico’ relativamente oscuro per la cultura occidentale», ovvero l’ignaro americano medio bianco. Al quale è chiaramente diretta la successiva sintesi, visto che ci si guarda bene dall’insegnarla a scuola, sulle origini della NAC intorno al 1880: «nel momento in cui la civiltà dei nativi americani stava per essere sterminata….le cerimonie con il peyote fecero molto di più per guarire le ferite provocate da genocidio, colonialimso e alcolismo di qualsiasi altro rimedio». Incluso il fallimento dell’altro movimento “salvifico” indigeno, la Ghost Dance, durato meno di un paio d’anni e chiuso tragicamente con il massacro di Wounded Knee nel dicembre 1890.
Dopo aver ulteriormente dettagliato questi percorsi storici (e/o ripulitosi la coscienza, a seconda dei punti vista), Pollan descrive il tentativo di saperne di più sulle cerimonie odierne: il “roadman” Navajo settantenne che alla fine riesce a incontrare personalmente nel maggio 2020, districandosi tra le restrizioni dovute al Covid, nella Diné Nation in Arizona, pur con tutto il rispetto, non nasconde la sua diffidenza per i bianchi e gli risponde picche:
Per tutte queste informazioni che vorresti, a me cosa ne viene? Questo è il dilemma che ho a parlare con te. Se divulgo troppi dettagli sull’importanza del peyote, su come funziona, sull’efficacia dei suoi effetti curativi, poi ne scriverai qualcosa che alimenterà la curiosità di questa ‘gente psichedelica’. … Questa pianta ci è stata data per le nostre necessità. Dobbiamo tutelarla per i nostri figli e nipoti, per un futuro in cui ne avremo ancor più bisogno per sopravvivere. Abbiamo imparato a essere molto protettivi con la nostra medicina.
Incassato il colpo, Pollan non si dà per vinto e raccoglie comunque qualche informazione da “insider” tramite altri contatti via Zoom, per poi sottolineare l’impegno degli attivisti di Decriminalization Nature da una parte, e della Indigenous Peyote Conservation Initiative, dall’altra, i cui obiettivi non sempre collidono. Da qui passa in veloce rassegna alcuni illustri occidentali attirati dalla mescalina, da Artaud ad Huxley da Shulgin a un rabbino locale, i quali non esitano a definirla “il re dei materiali [psichedelici]”.
Tutto ciò (e molto altro) come preludio alle sue esperienze personali al riguardo. La prima dovuta a due capsule di mescalina solfato, procurategli da un amico fidato, grazie alla «alla economia del dono che è molto presente nella comunità psichedelica» (la scoperta dell’acqua calda?). La seconda in un’apposita cerimonia collettiva basata sul cactus San Pedro, anzi Wachuma, come viene chiamato nella tradizione peruviana da tempo abbracciata e praticata da “Taloma”, nome fittizio della officiante locale che si appresta a tenere tale cerimonia. Ma prima l’emergenza Covid e poi quella parallela dovuta agli incendi che colpiscono quell’area della California settentrionale, costringono all’ennesimo rinvio. Che fare?
Alla fine si organizza comunque un evento con 6-7 persone, test anti-Covid, mascherine e “social distance”, inclusivo di setting ideale e ben pianificato, set/intenzione esplicitati dai singoli e gli altri accorgimenti del caso. Nel libro viene minuziosamente descritta anche la preparazione tè di Wachuma (pur rimanendo pratica illegale, diversamente dalla pura coltivazione del cactus), come anche la precisa quantità e la disposizione dei tanti oggetti presenti sull’altare (impossibile da ricordare, forse li avrà fotografati con l’iPhone?). E nelle ultime dieci pagine si illustra, altrettanto accuratamente, quanto avviene nel corso di questa cerimonia curativa sui generis. Senza svelare nulla, diciamo solo che una sorta di “bad trip” se lo becca la moglie di Pollan, la malcapitata ma consapevole Judith (che era anche stata la sitter nella precedente “viaggio” di Pollan con la mescalina solfato, zeppa di rimandi a quanto descritto da Huxley nel 1954 in Porte della Percezione)
Peccato però che quest’ultima non abbia voce in capitolo, limitandosi a chiedere scusa agli altri, la mattina successiva, «per tutto il dramma di ieri notte»: l’intera situazione ci viene descritta solo dalle parole dell’autore. Né è dato sapere se poi ci sia stata una qualche tipo di integrazione o discussione post-cerimonia, quantomeno a livello privato. Passaggio questo sostanziale dell’intero processo e applicato, come è oramai ben noto, sia nei test clinici sanzionati ufficialmente sia nella sessioni terapeutiche underground coadiuvate dagli psichedelici. Poteva anzi essere un esempio concreto della ricodificazione occidentale di certi rituali dei tempi andati oppure applicati oggi dalle popolazioni indigene, come pure di quei possibili scenari da Peace on Drugs menzionati più volte nelle pagine precedenti. Sicuramente Pollan avrà avuto i suoi buoni motivi per aver tralasciato del tutto questa fase, ma sembra un’occasione persa.
Si spera solo che la dedica del libro alla stessa Judith («per aver condiviso il tragitto») sia stata sufficiente per ripagarla di quest’inusitata esperienza. E chissà, prima o poi qualche reporter vorrà farle un’intervista per dar spazio anche alle sue riflessioni nel contesto generale. O, perché no?, ne scriverà un saggio tutto suo, oppure una nuova mini-serie su Netflix.
Scherzi a parte, va detto che, proprio rispetto al potenziale sdoganamento degli psichedelici, Pollan boccia l’attuale modello delle legalizzazioni locali (in Usa) della cannabis, in libera vendita (ai maggiorenni) nei dispensari e online. Va invece preferito invece l’approccio più controllato, leggasi terapeutico: «Psilocibina e MDMA possono entrare nella società tramite il processo, già in corso, dell’approvazione da parte della Food and Drug Administration, e nel giro di qualche anno saranno disponibili come coadiuvanti della psicoterapia» (sempre in Usa).
Nel complesso, dunque, il target di Pollan, resta quel mainstream che già nel 2018, dopo averlo seguito nelle avventure cultural-culinarie del mondo, lo ha catapultato sulla scena psichedelica (e anche stavolta, abbondano di già le recensioni “positive”). Facendo variamente da ponte tra l’ambito terapeutico e il fronte degli attivisti, oltre che ammiccando ai legislatori e alla nascente imprenditoria di settore. E ampliando la conversazione, stavolta vi aggiunge una buona dose di pragmatismo per arrivare a un approccio più sensato all’intera questione “droghe” – meglio, sostanze dai vari effetti che vanno, appunto, dal caffè alla mescalina. Nulla di particolarmente originale o di innovativo, anzi, ma segnali importanti in questa fase storica, a partire dagli Usa, non ultimo perché ovviamente Pollan ha un ampio seguito mediatico e sa parlare al cosiddetto pubblico di massa.
Infine, pur se il volume hardcover consta di appena 250 pagine con interlinea generoso, escluse bibliografia e indice analitico, il prezzo ufficiale è di ben 28 dollari, mentre il paperback in arrivo sarà di 100 pagine in più e in formato grande, forse con l’aggiunta di foto, ma costa addirittura 30 dollari (senza gli sconti di Amazon.com e altri siti). Ulteriore tassello, voluto, c’è da scommetterlo, dal gigante editoriale Penguin Random House a sostegno di un’ampia operazione di marketing.