Parte oggi questa rubrica a cadenza quindicinale sulle piante psicotrope più interessanti che coinvolge tutti i continenti – all’Amazzonia all’Estremo Oriente, senza nessun limite geografico o culturale. Oltre a una parte teorica sull’etnobotanica e sulla farmacologia delle varie specie, gli articoli verranno integrati da una parte pratica con le informazioni tecniche su estrazione e lavorazione. Con un occhio di riguardo per le nuove scoperte della scienza moderna, ma senza sminuire il valore delle conoscenze antiche.
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BOTANICA
Il genere Piper include circa 200 specie, 10 di queste vengono largamente impiegate per la produzione di spezie culinarie e fitofarmaci. La kava (Piper methysticum, dal latino “pepe intossicante”) è un cespuglio molto comune in gran parte delle isole dell’Oceano Pacifico. La radice, spesso chiamata erroneamente rizoma, è costituita da un vigoroso fusto principale da cui dipartono delle ramificazioni laterali che terminano in estremità sottili e filiformi.
Deriva da una cultivar selvatica più antica, Piper wichmannii. Analisi genetiche lasciano supporre che il methysticum, arbusto dioico sterile, sia stato clonato in seguito ad un lungo processo di selezione dei mutanti migliori [1].
La differenza principale tra le due specie sta nella radice che ha un tessuto molto più duro e legnoso nella wichmannii, infatti vengono spesso confuse o vendute indistintamente. Per esempio un campione raccolto a Tangoa in Vanuatu è stata identificato contemporaneamente da due erboristi come methysticum e wichmannii [2]. Anche tra i nativi le distinzioni sono poco chiare, infatti sull’isola di Vanuatu vengono chiamate indistintamente kava. In alcune zone come Maewo e l’isola di Pentecoste anche la specie selvatica viene impiegata per la preparazione della bevanda [3].
Diversi autori nel corso degli anni hanno formulato varie ipotesi sull’origine geografica della kava: nel 1959 Yuncker la definì “problematica” [4], poi Barrau ipotizzò fosse originaria dell’Indonesia orientale o di Papua Nuova Guinea [5]. Nel 1981 Smith ribadì che la provenienza della pianta fosse incerta [6], mentre nel 1989 Brunton suggerì che l’origine si potesse ritrovare nella Melanesia occidentale [7]. Lebot scrisse che la kava fosse stata introdotta dapprima a Vanuatu, luogo in cui si può ritrovare il maggior numero di cultivar diverse, meno di 3000 anni fa. Da lì si sarebbe poi diffusa in Fiji, Polinesia, Nuova Guinea e Micronesia.
Un’altra teoria, supportata anche dall’etnobotanologo italiano Samorini, si basa sul ritrovamento di un centinaio di mortai di pietra in Nuova Guinea e nelle isole vicine, particolarmente concentrati nell’arcipelago di Bismarck, isole Salomone e Nuova Guinea Orientale. Si ipotizza che, dati gli ornamenti preziosi, venissero impiegati in contesti rituali per la produzione di bevande disgustose a base di radici di Zingiberacee e Piper wichmannii. I martelli vennero poi abbandonati forse perchè la forma coltivata della kava, molto meno amara e nauseabonda, poteva essere masticata direttamente senza problemi.
Le discrepanze con la distribuzione geografica possono essere spiegate da un disuso della pianta che sarebbe tornata in voga successivamente, probabilmente in seguito alla selezione del Methysticum. La maggior varianza delle cultivar notata da Lebot a Vanuatu può essere spiegata dall’introduzione di altre varietà dalla Polinesia. La datazione di questi reperti potrebbe dimostrare che la kava venisse già consumata in Nuova Guinea più di 5000 anni fa [8]. (vai all’articolo integrale)