Kanna e mesembrina

Piantina di Sceletium emarcidumQuesta ricerca dettaglia tutto quello che sappiamo riguardo al “kanna” (Sceletium emarcidum o tortuosum), nome assegnato dai nativi sud-africani a una pianta succulenta della famiglia Aizoaceae, usata tradizionalmene soprattutto come euforizzante e intossicante. Il nome è lo stesso assegnato all’antilope alcina (Taurotragus oryx Pallas), animale sacro associato alla trance e ha un ruolo chiave come guida nella cerimonie e nelle danze rituali, dove veniva consumata anche la pianta.

Tra i nativi, oltre che come euforizzante e intossicante, si impiega a dosaggi ridotti anche come ansiolitico, calmante, analgesico, sonnifero, antiasmatico, per il trattamento di indigestioni, disturbi gastrici o della dipendenza da alcolici e per favorire una certa apertura mentale. Il kanna viene consumata anche durante il parto per limitare dolore, nausea, disturbi gastrici e costipazione e favorire la contrazione dell’utero. Nei bambini piccole dosi venivano infuse nel latte materno o nel grasso di pecora per favorire il riposo e combattere le coliche infantili.

Peter Floris, luogotenente del vascello inglese The Globe fu il primo occidentale a scrivere sul kanna nel 1610, identificandolo come radice di Ningimm, Una corruzione del nome vernacolare usato per ginseng. Infatti la pianta era estremamente preziosa ed ambita da mercanti olandesi e giapponesi (i primi a scoprirne il valore), una sorta di ginseng di Città del Capo. L’inglese aggiunse che il periodo giusto per la raccolta era compreso tra dicembre, gennaio e febbraio e che i locali la chiamavano “Canna”. Nel 1625 il chierico inglese Samuel Purchas riportò che la pianta era molto richiesta in Giappone per le sue proprietà medicinali, notò inoltre che diventasse tenera e dolce come i semi di anice quando matura.

Nonostante sia presente da molto tempo tra i cosiddetti “herbal highs”, non c’è nessun rapporto che attesti un possibile meccanismo di assuefazione o dipendenza indotto dal kanna. Anzi sono molti quelli che documentano le proprietà utili nel trattamento di diverse tossicodipendenze. Studi tossicologici hanno individuato il NAOEL, la dose massima prima della comparsa di effetti tossici sopra i 5.000mg/kg (in un modello di somministrazione ripetuta per 14 giorni). I risultati confermano i test precedenti effettuati su cani e gatti, il kanna risulta sicuro in modelli acuti e cronici anche a dosaggi medicinali relativamente alti.

Ovviamente il governo ha voluto bandire la mesembrina, un alcaloide del complesso (che a quanto sembra non è neanche il vero responsabile del potenziale narcotico ed ipnotico e manca nella maggior parte del kanna costituito dallo Sceletium emarcidum), come se fosse una minaccia per la nostra società ignorando al solito una miriade di evidenze scientifiche.

Qui il testo integrale della ricerca.

La ‘via sacra’ da Atene a Eleusi – Alle radici dello sciamanesimo europeo

Nel video che segue Riccardo Zerbetto ci parla delle sue esperienze di viaggio lungo una delle più importanti vie sciamaniche dell’Occidente: la Ierà Odòs, letteralmente “via sacra”; ovvero il cammino iniziatico che i pellegrini della Grecia antica percorrevano da Eleusi ad Atene: un percorso lungo 21 chilometri attraverso le terre in cui, secondo il mito, la dea Demetra vagò a lungo alla ricerca della figlia Persefone, rapita da Ade.

Il mito, densissimo di simboli legati alla morte, alla rinascita e al perpetuo rapporto circolare che tra esse intercorre, accompagnava il percorso dei pellegrini nell’iniziazione ai celeberrimi misteri eleusini; il carattere sacro degli insegnamenti che essi ricevevano era tale da comportare pene severissime per chi li avesse divulgati. Tuttavia, sono molti gli autori antichi che, seppur allusivamente, hanno lasciato nelle loro opere testimonianze del carattere sciamanico dei rituali di Eleusi, e di particolare interesse è il ruolo che in essi rivestiva una particolare bevanda, il kykeón, i cui effetti psicotropi erano probabilmente ottenuti dai sacerdoti Eumolpidi tramite una particolare preparazione della claviceps purpurea che cresceva sulle spighe di grano (sacre a Demetra).

Un percorso, dunque, che ci riporta alle radici dello sciamanesimo europeo, purtroppo spesso trascurato o dimenticato, ma in realtà ricchissimo di interesse e intrecciato alla nostra cultura fin dalle sue origini. Anche Albert Hofmann si è occupato dei Misteri di Eleusi, in particolare con un intervento in occasione del Primo Congresso Internazionale sugli Stati Alterati di Coscienza (Goettingen, 1992): il testo, pubblicato in un omonimo Millelire di Stampa Alternativa nel 1995, è disponibile in pdf. Da notare infine che ogni anno, verso fine agosto-inizio settembre, Riccardo Zerbetto percorre a piedi la ‘via sacra’ da Atene a Eleusi e invita tutti a seguirlo per rinnovare questo rito alla base della nostra cultura enteogenica occidentale “continentale”.

Amanita muscaria come potente antidepressivo?

Amanita muscaria“Ovulo malefico, un fungo che nel nostro immaginario è penetrato profondamente per mezzo delle fiabe, e che – a causa delle stesse fiabe e di varie leggende popolari è considerato altamente velenoso – si appresta oggi a diventare oggetto di studio in virtù delle sue proprietà psicoattive, che stanno autorizzando due ricercatori ad avviare degli approfondimenti scientifici per valutarne i possibili impieghi terapeutici, tra cui spiccano le potenzialità antidepressive e quelle di coadiuvante per combattere le dipendenze.” Apre così un ampio articolo firmato da Federico di Vita su Esquire Italia che analizza in dettaglio le potenzialità nascoste dell’Amanita muscaria.

E il bello è che per una volta trattasi di una ricerca scientifica di stampo tutto italiano, dovuta a Gianluca Toro, chimico specializzato nel campo ambientale, e Alessandro Novazio, coordinatore della nostra rete Psy*Co*Re. I quali rispondono a una serie di domande onde puntualizzare la situazione: “Considerando l’antico uso di questo fungo e quanto riportato in letteratura, l’Amanita muscaria mostra punti di contatto con i più noti funghi psicoattivi del genere Psilocybe, oggi al centro di diversi studi e dell’attenzione mediatica internazionale.”

Fra l’altro, si chiarisce una volta per tutte una certa mitologia ai danni di questo esemplare:

L’Amanita muscaria può essere considerata un fungo psicoattivo, ovvero in generale con azione sui processi mentali, che può mostrare anche effetti psichedelici oltre che più genericamente inebrianti. Gli psichedelici inducono effetti quali intensificazione delle percezioni sensoriali, modificazione della percezione di spazio e tempo, percezione di spazi multidimensionali, illusioni, stati oniroidi e visionari, allucinazioni, modificazione della percezione del proprio corpo e dell’Io, maggiore tendenza all’associazione di idee e al pensiero analogico, stimolazione linguistica e semantica e stati emotivi, introspettivi, meditativi, intuitivi, rivelatori, creativi ed estatici.

Da notare inoltre l’attuale apertura a livello legale che offre appigli pro-positivi per la ricerca scientifica:

Perché non è vietata la ricerca in Italia su questo fungo, a differenza di altri?
“Non è vietata la ricerca perché non è vietata la sostanza. Piuttosto bisognerebbe domandarsi perché nessuno finora ha pensato che potesse essere oggetto di ricerca. È una domanda che ci siamo posti ma non ha una risposta precisa. Forse si tratta di una ‘svista’ causata da un pregiudizio di fondo. Popolarmente l’Amanita muscaria è chiamata ‘ovulo malefico’ e si dice che sia addirittura “mortale” quando invece il Mistero della Salute nella sua guida alle intossicazioni da funghi lo inserisce tra quelli a basso rischio di mortalità. La cattiva fama poi aiuta a mantenerlo legale e permette oggi di intraprendere liberamente una ricerca clinica senza i limiti che opprimono altre ricerche, come quella con i funghi psilocibinici”.

Senza dimenticare infine le proposte sonore innescate dal fly agaric, in una diretta radio di qualche giorno fa intitolata Veleno-Amanita Muscaria.

[Qui l’articolo integrale su Esquire Italia].

Tamburo sciamanico per risvegliare la coscienza

Proponiamo alcuni stralci da un ampio intervento sul potere del tamburo sciamanico pubblicato recentemente da Paolo Adduce, musicista torinese.

Tutte le cose che vibrano sono sensibili tra di loro, quindi potremmo dire che il suono è l’anello di congiunzione tra tutti i fenomeni. Come le corde di una chitarra che vengono pizzicate, vibrano e fanno vibrare la cassa armonica o le corde di un altro strumento, così pure tutte le cose si influenzano a vicenda mediante la legge sottile dello scambio vibratorio. Siccome il corpo si comporta come un diapason messo vicino ad un altro diapason, accade che i corpi e i loro componenti entrino in risonanza simpatica o simpatetica e si mettano a vibrare alla stessa frequenza.

Negli anni ’60, Michael Harner, scoprì che il tambureggiamento veniva usato in uno specifico contesto di guarigione sciamanica dai Coast Salish del Puget Sound, nella parte occidentale dello stato di Washington, anche se non comprendeva i viaggi sciamanici. Harner decise di comprare un tamburo a due facce del tipo Pueblo e di sperimentarlo per compiere un viaggio sciamanico: con sua piacevole sorpresa, scoprì che la percussione monotona e ripetitiva alterava immediatamente il suo stato di coscienza. Sin dall’inizio dei suoi esperimenti, scoprì che un ritmo monotono e sempre uguale, di circa 205-220 colpi al minuto, era il più efficace; a quel tempo non sapeva ancora che quella era la stessa frequenza usata nel tambureggiamento degli sciamani siberiani e solo alcuni anni dopo, Harner riuscì a venire in possesso di un nastro con quattro minuti di registrazione di un tamburo siberiano, ottenendo la conferma delle sue teorie.

Nel 1984, durante il suo primo viaggio in Unione Sovietica, Harner incontrò Yuri Simchenko, un etnografo russo il quale aveva speso ventotto periodi di ricerche sul campo in Siberia. Simchenko aveva appreso che i veri sciamani siberiani usavano di norma soltanto il tamburo per alterare la coscienza, invece che certi funghi psicoattivi (Amanita muscaria), assunti sopratutto dai non sciamani: la motivazione era nella difficoltà di mantenere una disciplina necessaria per il lavoro sciamanico, quando lo spirito dell’Amanita si impossessa del corpo.

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Un’analisi teorica della visione cervello/mente

visione cervello-menteE pur si muove!  Scomodare Galileo è forse eccessivo ma, come evidenziato nel corso degli Stati Generali della Psichedelia 2019, anche l’Italia fa la sua parte – nell’ambito della teoria scientifica, come in questo caso. Lo dimostra la ricerca di Tania Re (antropologa, Università di Genova) e Giuseppe Vitiello (matematico, Università di Salerno) che pubblichiamo su autorizzazione degli autori in anteprima assoluta. Si tratta di un’analisi sulle esperienze visive del cervello durante situazioni e momenti specifici che non sono collegate al vedere come nello stato di veglia.

L’articolo originale in inglese sta per essere pubblicato sulla rivista specializzata OBM Neurobiology (Open Access e peer-reviewed). Quella che segue ne è la sintesi italiana.

Colgo l’occasione per ricordare che questo sito (e come nello spirito del network-progetto Psy*Co*re) non vuole essere un blog passivo di semplice informazione ma una Zona Franca aperta al dibattito. Invito quindi i ricercatori e tutte le persone interessate al confronto, ad inserire commenti, link e altre segnalazioni in calce a ogni articolo.

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All’interno della cornice del modello quantistico dissipativo del cervello presentiamo un’analisi teorica della visione cervello/mente (allucinazioni) delle esperienze fatte durante il sogno, la meditazione, causate dall’ azione di sostanze psicoattive o in condizioni di privazione sensoriale del cervello rispetto al suo ambiente. Le esperienze visive del cervello a cui ci riferiamo non sono attività visive collegate al vedere come nello stato di veglia.

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Il mainstream ci (ri)prova con gli psichedelici

Psichedelia Oggi“Solitudine, incertezza e angoscia dovuti alla pandemia possono intensificare una crisi mentale già acuta, e in Usa si registra un +20% nelle ricette per ansiolitici e antidepressivi durante la quarantena. Nel Regno Unito la domanda per questi medicinali minaccia di superare l’offerta, dopo aver già registrato oltre il doppio di prescrizioni mediche nell’ultimo decennio”.

Così apre sul Guardian un articolo di Robin Carhart-Harris, responsabile del Centre for Psychedelic Research all’Imperial College di Londra e da 15 anni in prima fila nella ricerca sull’uso terapeutico degli allucinogeni, in particolare la psilocibina per casi di depressione cronica e/o resistente ad altri trattamenti. Il quale prosegue spiegando che i tipici antidepressivi SSRI (gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) spesso sono soltanto dei pallativi e provocano pesanti effetti collaterali, mentre la terapia psichedelica offre un pacchetto ben più articolato ed efficace.

Segnalando poi il referendum previsto a novembre in Oregon per avviare servizi medici basati sulla psilocibina come utile strumento anche per unificare il variegato fronte psichedelico, Carhart-Harris ricorda lo “stigma che colpisce tuttora sia queste sostanze che la salute mentale”. E chiude sottolineando che queste terapie possono offrirci le stesse importanti lezioni emerse per molti durante la quarantena: “espansione della coscienza e ritmi di vita rallentati, contemplazione della propria e altrui impermanenza, apprezzamento per cura, amore e vita”.

Un sentito e qualificato invito a spingere gli enteogeni verso il mainstream, a partire proprio dalle applicazioni delle ultime indagini scientifiche. È quanto conferma un recente intervento su Science Times che sintetizza i risultati di test clinici con i “funghetti magici”. La psilocibina ivi contenuta sembra innescare bassi livelli di glutammato nell’ippocampo, portando così alla dissoluzione dell’ego in senso altruistico e positivo. Da qui le ulteriori potenzialità nel trattamento di disturbi mentali caratterizzati dalla distorsione dell’esperienza del sé. Promesse che diventeranno realtà “quando gli esperti potranno comprendere e conoscere meglio il modo in cui queste sostanze operano a livello neurochimico”.

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Un esempio di persecuzione sugli psichedelici…

William Leonard Pickard
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa nota di Vanni Santoni (risalente al 21 gennaio scorso) che rimanda alla “causa psichedelica” in generale e in particolare alla relativa persecuzione che ha colpito, fra gli altri William Leonard Pickard, ricercatore di Harvard in carcere dal 2000 con l’accusa (infondata) di aver prodotto grosse quantità di Lsd.

…Fra i tanti motivi per voler bene al grande fisico Carlo Rovelli c’è anche la sua dedizione alla causa psichedelica; chi è interessato troverà una bella storia raccontata nel suo libro Ci sono luoghi al mondo dove più che le regole è importante la gentilezza del 2018 (la cui nuova edizione sta per essere pubblicata dal Corriere della Sera, ndr), sull’ultimo numero de La Lettura, mentre poco sopra Luigi Manconi risponde con mirabile aplomb a un proibizionista con la bava alla bocca. Rovelli segnala una chicca che mi ero perso (e che ho prontamente ordinato): il libro The Rose Of Paracelsus: On Secrets & Sacraments di William Leonard Pickard, ricercatore di Harvard e UCLA imprigionato per aver prodotto acido lisergico, e considerato tra i massimi prigionieri politici – non ha, infatti, mai prodotto vere droghe e ha sempre agito in modo separato da mafie, gang e trafficanti – della seconda era psichedelica. Avevo letto da qualche parte anni fa che stava scrivendo un libro, ma ne avevo perso le tracce e non sapevo che lo avesse terminato e pubblicato.

In attesa del momento storico in cui si riconoscerà la natura politica e non sanitaria di questi cinquant’anni di persecuzione degli psichedelici, e si arriverà a un’inevitabile amnistia per Pickard e altri come lui, è da non perdere la lunga intervista (inglese) a quest’ultimo apparsa nell’aprile 2017 su The Oak Tree Review. (Qui dettagli e aggiornamenti sulla situazione legale e altro di Pickard).

 

Gioia collettiva e bisogno di iniziazione

Insieme al rinascimento psichedelico, a partire dagli anni ’90 abbiamo assistito all’emergere di nuove forme di organizzazione dell’intrattenimento, nelle quali il collante comune è la musica elettronica. In tutto il mondo, sopratutto nel periodo estivo, si assiste ad una ricca offerta di festival. In queste Temporary Autonomous Zone le giornate scorrono – insieme alla onnipresenza musicale – tra installazioni artistiche, arte psichedelica, proiezione di documentari, conferenze e workshop con ospiti internazionali, lezioni di yoga, massaggi e altre pratiche di benessere.

Queste vivaci comunità temporanee sono animate, tra le altre cose, da un desiderio di fondo di spiritualità, connessione con la natura, con importanti rimandi e riferimenti alla mitologia e allo sciamanesimo. L’emergere di questi festival in tutto il mondo mostra un chiaro bisogno di ritualità collettiva, spontanea, libera, e limitata da pochissime e semplici regole: il rispetto per se stessi, per gli altri, e per l’ambiente di cui facciamo parte. Questi festival sono un colorato carnevale di personaggi fantasmagorici e surreali: gnomi e folletti, fate e streghe, circensi e giocolieri, guerrieri post-punk e neo hippie, oltra a una pletora di gioiosi mutanti di difficile classificazione. In un’atmosfera frizzante e giocosa, questi eventi sono la versione contemporanea dei Saturnalia romani e dei riti Dionisiaci greci, moderni baccanali nei quali è possibile e consentito di perdere sé stessi, e fondersi con la folla danzante. L’esperienza della trance e dell’estasi può innescarsi con la sola musica, ovvero attraverso l’utilizzo di sostanze psicotrope.

Il sociologo Michel Maffesoli utilizza l’etichetta neo-tribalismo per definire questa spinta dionisiaca che sta portando al riemergere di micro comunità, complementari o in sostituzione alle istituzioni tradizionali (quali il clan familiare, la parrocchia, la comunità locale). Inoltre, come scrive Barbara Eherenreich nel suo libro Dancing in the street: a history of collective joy: “Questi ingredienti di estasi rituali e festival carnevaleschi: la musica, la danza, mangiare, bere, indulgere in sostanze psicotrope, travestirsi e truccarsi viso e corpo – sembrano essere universali, dalla notte dei tempi.” Insomma, cambiano le forme, ma resta costante la spinta dionisiaca verso l’estasi e la dissoluzione dell’ego.

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Ayahuasca e piante di potere

Questa la video-presentazione di Pier Luigi Lattuada agli Stati Generali della Psichedelia 2019 (i cui atti integrali sono in via di pubblicazione). Medico psicoterapeuta e fondatore della Biotransenergetica, qui Lattuada sintetizza gli insegnamenti ricevuti dal suo rapporto con le “piante-maestro” e la loro rilevanza per l’approccio della psicologia transpersonale. Al centro c’è il rapporto tra prima attenzione e seconda attenzione, intese come modalità epistemologiche, ma anche come diversi livelli di consapevolezza e profondità d’indagine nei rapporti tra conoscente e conosciuto, tra l’io e il mondo.

L’epistemologia della seconda attenzione, che si propone di superare il mondo della mera apparenza così come viene colto dalla prima attenzione, ci mostra un approccio in cui ogni cosa è inscindibile dal modo in cui essa si dà all’io che la osserva; in cui la conoscenza dell’oggetto è imprescindibile dalla conoscenza del rapporto che il soggetto intrattiene con esso: un insegnamento prezioso, che può fornire un interessante fondamento – ma anche uno stimolo per nuove domande – nella ricerca sugli stati di coscienza.

Psiconautica, Ossigeno e Biosonologia

Psiconautica, Ossigeno e BiosonologiaNel novembre 2014 si è tenuta, in maniera del tutto privata nel cuore di Torino, una seduta di Psiconautica, Ossigeno e Biosonologia. “I partecipanti sono una trentina, per lo più tra i 25 e 35 anni, attirati dall’evento per i più disparati motivi: noisers attratti dall’aspetto sonoro della serata, appassionati di psichedelia e di pratiche pseudo-scientifiche, sperimentatori di sorta, dilettanti e professionisti di arti contemporanee, e, in generale, appassionati di tecniche, legali e non, per uscire dagli stati di coscienza ordinari. In una parola: psiconauti.” Questa descrizione è ripresa da un resoconto diretto dell’evento, apparso all’epoca sulla testata web L’indiependente.

Una sessione, tanto inusitata quanto dirompente, basata sulla ricerca sonora e artistica, tra composizioni e performance audiovisive in cui field recording e processi generati dal computer, coesistono in rapporti sinergici. Un metodo messo a punto da Domenico Sciajno e dal suo Istituto di Biosonologia (illustrate in dettaglio poco più sotto), anzi un sistema dinamico e integrato che può favorire uno stato di benessere psico-fisico e può permettere di raggiungere importanti benefici e stimoli per lo sviluppo individuale, sia in ambito interpersonale sia in quello mentale e creativo.

Ci pare senz’altro utile riproporre qui & ora la sintesi di quell’evento, in un periodo storico-culturale dove va emergendo con sempre maggior forza l’indispensabile integrazione tra stati di coscienza e psichedelia, consapevolezza espansa e sonorità dell’anima. Quale l’obiettivo di quell’insolita seduta (e di questo percorso interdisciplinare a tutto campo)? Forse “capire un po’ meglio il proprio equilibrio tra forze in ingresso e forze in uscita”. Oppure semplicemente “fare un percorso di autocoscienza o spalancare nuove porte della percezione”. Oltre che segnalare come, non certo da ieri, qualcosa e qualcuno si muove anche in Italia, eccome. Intanto…. buona lettura!