Corsi e ricorsi delle “piante maestre”

Continua ad espandersi anche in Italia l’attenzione verso la psichedelia e gli stati non ordinari di coscienza in senso lato, particolarmente in ambito editoriale, a conferma di un’ondata del tutto inedita già segnalata di recente. Stavolta è il turno di un’opera originale curata da Tania Re, psicoterapeuta gestaltista specializzata in Antropologia della Salute ed Etnomedicina. Il suo Tania Re, Stupefacenti e proibiteStupefacenti e proibite: le piante maestre, fresco di stampa presso le edizioni Amrita di Torino, offre un contributo puntuale lungo questo percorso di ampio respiro.

Una delle tesi centrali del libro è quella rimarcare come, in molte regioni del mondo, da tempo immemorabile gli esseri umani hanno appreso e condiviso le proprietà curative delle  piante “di conoscenza” e continuano a farne un uso accorto ancor’oggi:  tabacco, coca, oppio, ma anche sostanze di derivazione vegetale come psilocibina e ibogaina. Invece da oltre mezzo secolo i governi occidentali hanno deciso di bollarle come “droghe”, ovviamente illecite, criminalizzandone gli utenti e bloccandone di fatto la ricerca con ricadute negative per la  società tutta.

Dobbiamo quindi smettere di demonizzare tali piante e sostanze, per impegnarci piuttosto a studiarne e informarne sugli aspetti e sulle potenzialità,  oltre che a sperimentarne gli effetti in prima persona nei contesti e  modalità opportuni. Va cioè affermata la libertà di scelta terapeutica e la ripresa degli studi scientifici in materia, avviata da qualche anno soprattutto nel mondo anglosassone, ma anche in Spagna, Olanda, Repubblica Ceca, Israele, Svizzera.

C’è poi un altro punto cruciale che affiora ripetutamente: sono le “piante maestre” ad aprirci le porte a quella parte di realtà a cui non si può accedere da uno stato “ordinario”. Non a caso, per alcuni popoli tradizionali, la “vera” vita è quella vissuta nel sogno, mentre la vita “reale” altro non è che un’ombra del sogno. Il tabacco, per esempio, è considerato la pianta che apre la mente, mentre l’ayahuasca è tradizionalmente riconosciuta essere quella che apre il cuore. Insieme, le due piante sono tra i principali “maestri della foresta” da cui poter trarre grandi insegnamenti.

Concezioni, o piuttosto “visioni”, che possono senz’altro aiutare l’umanità e che quindi meritano di essere valorizzate proprio all’interno del cosiddetto “progresso” occidentale, evitando però di puntare al profitto e/o di cannibalizzarle senza scrupoli. Ovvero:

Sradicare l’uso della pianta dal contesto curativo tradizionale si rivela una scelta pericolosa, come è avvenuto quando il tabacco, da pianta in uso per cerimonie collettive a beneficio della comunità, è diventato una maledizione collettiva.

Contesto e cerimonie da salvaguardare e rispettare per affermarne così i benefici complessivi. Lo ribadiscono le storie vissute dalla stessa autrice, oltre che da alcuni amici e colleghi (incluse nella prima sezione di ciascun capitolo) a riprova del concreto aiuto psico-terapeutico offerto dalla medicina tradizionale e naturale. A conferma non manca una panoramica sulle prime indagini scientifiche degli anni ’60 e soprattutto sul recente revival della medicina naturale e ancor più di quella psichedelica (pur se ancora illegale).

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Etnobotanica 7: Passiflora caerulea, un potenziale MAO-inibitore

MEDICINA TRADIZIONALE
La Passiflora caerulea veniva coltivata dagli Aztechi che la usavano come pianta ornamentale e come rimedio per disturbi urinari, fratture ossee e contusioni della pelle.

Nella medicina popolare argentina, le foglie vengono consumate per trattare la dissenteria, il frutto come digestivo e la parte aerea come spasmolitico.

Passiflora caeruleaCon foglie e radice preparano anche un decotto contro i parassiti intestinali; la tisana a base di parte aerea viene impiegata come agente antinfiammatorio, ipotensivo, sedativo e diuretico.
Inoltre viene lodata per le sue proprietà antimicrobiche utili nel trattamento di catarro, polmonite [1].

In Brasile è nota come maracujá-laranja per via del colore arancione e viene utilizzata principalmente come sedativo, analgesico ed ansiolitico naturale, ma sono note applicazioni contro scorbuto, ittero, disturbi mestruali e gastrointestinali [2].

Nella medicina popolare delle Mauritius si preparano delle tinture e degli estratti a base di fiore della passione per trattare diverse condizioni nervose.

In Italia la Passiflora caerulea veniva consumata come antispasmodico e sedativo.

FARMACOLOGIA

Ansiolitico, sonnifero, sedativo
La parte aerea di Passiflora caerulea contiene dei flavonoidi non identificati dotati di alta affinità per i recettori delle benzodiazepine, le concentrazioni di questi composti sono troppo basse perchè i dosaggi tradizionali siano efficaci in acuto. Tuttavia sembra che l’assunzione cronica possa incrementare nel tempo i livelli di benzodiazepine nel cervello con conseguente modulazione dell’omeostasi dello stesso [3].

La crisina, un flavone isolato dalla pianta, ha mostrato significativi effetti ansiolitici privi di componente sedativa e miorilassante nei modelli animali agendo come agonista parziale sui recettori delle benzodiazepine [4]. Secondo altre fonti, l’estratto di fiore della passione ha un effetto comparabile all’oxazepam [5].

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Intellettualizzazione o Visione? Il registro dell’esperienza psichedelica

Psychedelic ExperienceRiceviamo e volentieri pubblichiamo questo vero e proprio “trip report” di un autore che preferisce rimanere anonimo. Un resoconto interessante e personale, ma anche “dotto”, vista l’esperienza e le conoscenze psicologiche dell’autore stesso, attento alle problematiche della riduzione del danno e soprattutto del rischio collegato al consumo di queste molecole.

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Intellettualizzazione o Visione? Il registro dell’esperienza psichedelica.

Una riflessione su come siamo noi presenti durante lo stato non ordinario di coscienza, o come l’hic et nunc ne determini l’integrazione nel quotidiano futuro.

Questo scritto si propone di analizzare, da un punto di vista psicologico, secondo le teorizzazioni apprese nel corso dei miei studi universitari, l’esperienza psichedelica.
Quest’ultima sempre soggettiva, intima, interpretata dal solo sguardo di chi la vive.
Ogni generalizzazione a riguardo è da considerarsi un tentativo di approssimazione. Avvicinarsi ad una realtà comunque mediata da chi ne fa parte.
Perché oltre all’oggetto di realtà, questo quasi inconfutabile, vi si intersecano set e setting, in un logos continuo, l’uno ad influenzare l’altro, e viceversa.

Provare a formalizzare un campo di definizione è un’opera ardua ma stimolante, nelle speranze di chi scrive, utile a chi legge, per avvicinarsi alla psichedelia in modo consapevole, attutendo i possibili rischi; o guardarsi alle spalle nel proprio cammino, con nuove prospettive per proseguirlo, sempre più incuriositi.
Ben consci che l’obbiettivo primario non è postulare teoria “dura”, ma generare altri meravigliosi, liberi, dubbi.

Siamo sdraiati sotto il sole in un prato, e nel frattempo riflettiamo sul senso della vita.
Le nostre emozioni si sono impadronite di noi o viceversa?
Ci sovviene un flashback percettivo emotivo d’infanzia, che ristruttura la nostra visione su noi stessi, da una prospettiva inaspettata…
Ma allo stesso tempo una nuvola violetta, con forme caleidoscopiche, si avvicina alla massa luminosa lassù, sicuramente non lo stesso sole a cui siamo abituati. Lo sentiamo irradiare energia solare pura. Entrarci dentro le membra, irrorandole di un calore enteogeno, mentre l’erbetta soffice ci solletica, ondeggiando soavemente.

Lo switch fra due esperienze così disparate, in pochissimi secondi, è compreso nella gamma di effetti degli allucinogeni.
Sostanze non solamente in grado di inebriare i sensi, sconvolgere la percezione, distorcendola in modi che comprendono la completa gamma: dal sublime, all’atroce; ma anche di liberare i nostri canoni di pensiero dalle rotaie prestabilite, inibendo quella default mode network (1), pilota automatico della coscienza in autoruminazione, che ci chiude nelle nostre incertezze, privati della determinazione a cambiarci e a cambiare il contesto.
Pensieri offuscati si diradano e nuove prospettive nettate prendono così forma.

L’assuntore si trova indi d’innanzi l’oceano delle possibilità, ma difficilmente si sentirà perso. Che la strada intrapresa sia quella interpretativa, letteralmente “rivelatrice della mente” (2): la folgorazione sulla via della conoscenza; o diversamente quella che conduce verso ammalianti allucinazioni: il canto delle sirene di odissea memoria, generalmente si sentirà come preso per mano, condotto da una forza superiore.
Salvo imprevisti.

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Michael Pollan ci riprova, tra oppio, caffè e…mescalina!

A tre anni di distanza dal suo ultimo bestseller internazionale, How To Change Your Mind, di cui è in lavorazione la mini-serie per Netflix, Michael Pollan torna in libreria con il sequel This Is Your Mind On Plants: indagine a tutto campo sugli effetti di tre piante/sostanze psicoattive, assai diverse tra loro ma usate variamente dall’Homo Sapiens fin dalla notte dei tempi: oppio, caffè e mescalina.

Michael Pollan 2021Come si legge di primo acchitto nell’introduzione, si tratta dell’ultima “indagine personale” di un percorso avviato dall’autore oltre 30 anni fa per indagare al meglio il rapporto tra noi stessi e il mondo naturale in senso lato, dalle incursioni culinarie in vari ambiti e Paesi alle contaminazioni culturali alle nuove frontiere della consapevolezza umana e sociale.

Premesso che il nostro è un giudizio totalmente indipendente, come l’intero progetto-network di Psy*Co*Re, il libro interessa solo parzialmente il nostro ambito e presenta le sue brave luci e ombre. Soprattutto il lettore scafato, o chi prevedeva un approfondimento del precedente lavoro puntato a svelare la “psichedelia per le masse”, resterà deluso. Chi è invece alle prime armi o mosso dalla curiosità, probabilmente si farà prendere dalla trama avvincente e potenzialmente ideale per una sceneggiatura cinematografica, come per i libri precedenti di Pollan.

D’altronde ormai sul tema il materiale online, sempre fresco e assai variegato, non manca affatto, grazie anche alla forzata conversione in streaming di convegni ed eventi vari. Qui di psichedelici se ne parla poco, appunto, solo nella terza sezione dedicata alla mescalina, puntando piuttosto a un obiettivo più ampio, sempre nel contesto generale di cui sopra. Ovvero: dato che da sempre gli esseri umani usano (e useranno) “droghe” di varia natura, è bene venirne a patti e limitarne gli effetti negativi. Ribadendo il fallimento globale della War on Drugs, e la necessità di pianificare i possibili scenari successivi, cioè la Peace On Drugs.

Posizione  d’altronde in piena sintonia con il mutato clima culturale (in Usa soprattutto) e la volontà dei cittadini, puntellata da prestigiose testate scientifiche e da vari movimenti politici, E ribadita dallo stesso Pollan nelle prime apparizioni nei talk show TV (a parte gli ovvi riflettori sulla caffeina), in un lungo ma godibile podcast-intervista con Tim Ferris e soprattutto nel recente editoriale sul New York Times. Dove il suo messaggio si fa ancora più chiaro:

Dopo mezzo secolo speso a fare la guerra alla droga, gli americani sembrano pronti a chiedere la pace. Le elezioni del 2020 hanno fornito numerose prove del fatto che gli elettori hanno superato i politici nel riconoscere sia i fallimenti della War On Drugs sia il potenziale di alcune sostanze illecite come potenti strumenti di guarigione.

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Piero Coppo: etnopsichiatria, stati modificati di coscienza e psichedelici

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un intervento di Leonardo Montecchi* in memoria di Piero Coppo (1940-2021), recentemente scomparso. Neuropsichiatria e psicoterapeuta, Piero è stato tra i primi in Italia a svolgere seminari sulla respirazione olotropica di Stanislav Grof e, fra le tante attività, ha variamente collaborato con la Sissc. La questione degli stati altri di coscienza e dell’interazione con quella che chiamiamo normalità rimane uno dei suoi temi centrali: normalità e quello che definiamo come stato altro/alterati sono solo «le due facce della stessa medaglia».

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Piero Coppo (1940-2021) Ho conosciuto personalmente Piero Coppo negli anni novanta. In quel periodo stavo lavorando attorno ai temi della dissociazione con George Lapassade e tutto il vasto gruppo di ricerca trans-disciplinare che si era composto per ricercare sul tema della transe metropolitana. La rivista I Fogli di Oriss, diretta da Piero  pubblicò un mio saggio  ed io venni invitato a casa sua, in Toscana per partecipare ad un seminario sulla transe. Venne proiettato un documentario girato in Madagascar e ci fu  una interessante discussione durata due giorni. In quella circostanza ebbi modo di conoscere Piero e di iniziare un dialogo ed una ricerca con lui che è durata fino alla sua morte e che continua ancora.

Di cosa si tratta? Piero aveva aperto la strada alla Etnopsichiatria in Italia, l’aveva aperta seguendo le tracce di Michele Risso che negli anni 50 si era occupato dei deliri da sortilegio degli emigranti italiani in Svizzera. Questi giovani uomini che si avvicinano alle ragazze svizzere molto più libere delle loro fidanzate o mogli che avevano lasciato nel paese, arrivavano alla osservazione psichiatrica dopo che i loro sintomi somatici come gastriti, coliti, cefalee od altro non avevano trovato riscontro nella diagnostica clinico-laboratorista.

Michele Risso, che conosceva le ricerche di Ernesto de Martino sul mondo magico,parlando con loro ipotizzò il delirio da sortilegio o da affatturamento. Cioè, queste persone anziché percepire il senso di colpa per un “tradimento” anche solo del desiderio, percepivano l’effetto di un sortilegio che era stato effettuato nella loro terra di provenienza dalle loro donne tramite operatori specifici.

Come si vede, questa ipotesi è centrale nella Etnopsichiatria. Michele Risso poi andò a lavorare a Gorizia con Basaglia ed a condividere con quella equipe che portava avanti la rivoluzione psichiatrica le sue teorie e pratiche fortemente innovative che l’introducevano il punto di vista, la prospettiva dell’altro nel vincolo terapeutico.

Mi piace pensare che Piero Coppo e Michele Risso si siano conosciuti a Gorizia, questo non lo so è certo che Piero che è di una generazione successiva a Risso, si è laureato in medicina e specializzato a Bologna in neuropsichiatra nel 1968,  le due specialità erano ancora unite, poi è andato in Svizzera come interno all’Ospedale Psichiatrico di Losanna.

Alla fine degli anni ’70 comincia la sua presenza in Africa, soprattutto in Mali per una ricerca su psichiatria e medicina tradizionale.  Questa è la radice del suo  lavoro etnopsichiatrico che lo porterà ad essere un punto di riferimento per la disciplina della etnopsichiatria.

Da quella esperienza esce nel 1994 per Bollati Boringhieri Guaritori di follia, storie dell’altopiano Dogon, e poi nel 1996 Etnopsichiatria per i tipi del Saggiatore. L’ultimo suo libro, curato nel 2017 insieme a Laura Girelli, è stato Schiudere Soglie.

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Biblioteca psichedelica minima e nostrana

PsichedeliaIl ritorno di interesse verso la psichedelia anche nel Bel Paese, pur se con i tipici annetti di ritardo, sta trainando un’ondata editoriale del tutto inedita, dal recupero di classici mai tradotti a saggi ex novo a libri-manuali un po’ per tutti. Importante perciò la panoramica a tema che propone l’eclettico Vanni Santoni. Il quale, dopo un’introduzione generale, spiega correttamente il senso di un accesso il più variegato possibile alle fonti letterarie in questo contesto:

Ecco che allora scrivere di psichedelici — o ancor meglio, dato che temi complessi richiedono testi lunghi, parlare di libri sugli psichedelici, come sto per fare — assume un suo senso: servirà per sfatare pregiudizi e falsità, per fornire a chi intende intraprendere un’esperienza visionaria o una sessione curativa un po’ di utile preparazione teorica, e per mettere a disposizione materiali utili all’integrazione a chi ne ha già avute.

Per poi passare senza indugi a una carrellata – arricchita dai necessari e arguti commenti dell’autore – di titoli passati, presenti e futuri che risulta certamente utile tanto ai neofiti quanto agli addetti.

Muovendo da Rinascimento psichedelico (Stampa Alternativa), libretto che a dicembre 2017 ha fatto da apripista per questa novelle vague italiana (e tuttora disponibile come ebook), passando per la ristampa dell’incommensurabile Volo Magico (Saggiatore), originariamente assemblato nel lontano 1969 da Ugo Leonzio, fino al fresco di stampa LSD, l’innovativa ricerca psichedelica nei reami dellinconscio (Shake) dello stimatissimo pioniere Stanislav Grof (qui l’ottima presentazione collaborativa online del 15 luglio).

Né mancano le segnalazioni di prossimi titoli in arrivo, tra cui un paio di “chicche”: Enteogeni per la rinascita spirituale di Ralph Metzner (AnimaMundi), e il bellissimo saggio poetico-magico-chimico Pharmako/Gnosis di Dale Pendell (Add), entrambi colpevolmente mai tradotti in Italia.

In definitiva, un percorso letterario, umano e culturale da esplorare con estrema attenzione….

Etnobotanica 6: Lactuca serriola e lactucarium

Il nome Lactuca deriva da lactus che in latino identifica il latte. Infatti la pianta, una volta incisa, secerne un abbondante liquido bianco e lattiginoso.

Lactuca_serriola Gli antichi Greci associavano la lattuga selvatica all’impotenza maschile e la servivano durante i funerali. Erodoto la menziona come pietanza degli dei Persiani del 400 a.C..

Gli antichi Romani la usavano come afrodisiaco ed analgesico: si dice che Augusto le avesse dedicato una statua dopo essere stato guarito da una malattia mortale.

Il naturalista Plinio il Vecchio ne descrive le proprietà nella sua Naturalis Historia. Gli Egiziani estraevano dai semi un olio molto pregiato dalle proprietà afrodisiache e promotrici della fertilità oltre che analgesiche e narcotiche.

MEDICINA TRADIZIONALE
Nella medicina Unani la Lactuca serriola, nota come kahu, viene impiegata come sedativo, ipnotico, antisettico, espettorante, antitussivo, purgante, vasorilassante, diuretico ed antispastico. Viene considerata molto efficace contro bronchite, asma e pertosse.

Il lattice essiccato, chiamato lactucarium, viene consumato come rimedio per insonnia, ansia, nervosismo, iperattività, tosse secca, pertosse e dolori reumatici. Si usa anche la parte aerea fresca o essiccata sotto forma di decotto, infuso o tintura alcolica; dai semi si estrae un olio dalle proprietà antipiretiche ed ipnotiche [1].

In Afghanistan selezionano le radici fresche dalle piante fiorite e le incidono lateralmente diverse volte. Quindi le lasciano a mollo per una notte in un recipiente pieno d’acqua a temperatura ambiente, facendo attenzione a proteggerlo dalla luce che danneggia il preparato e lo rende inefficace. L’infuso viene filtrato e consumato prima dell’alba come rimedio per la malaria [2].

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Aldous Huxley: ricerca sugli stati di coscienza e ricerca spirituale

Nell’odierno, variegato e dinamico scenario globale che ruota intorno alla psichedelia l’approccio multidisciplinare è divenuto centrale. Al contempo è cresciuto lo sforzo per operare lungo percorsi sempre più collaborativi e interconnessi. Questioni ben note agli addetti e ripetutamente menzionate dai “pionieri”, ma non di rado dimenticate o sottovalutate, sull’onda della spinta all’ipermedicalizzazione o dei facili entusiasmi per il nuovo revival. Si tatta cioè di procedere consapevolmente verso una vera e propria Maturità Psichedelica capace di produrre frutti duraturi e validi per tutti.

Un contesto in cui torna utile rivisitare l’impegno di uno di tali “pionieri”, l’autore britannico Aldous Huxley (1894-1963), nel chiarire l’intreccio fra stati non ordinari di coscienza e dimensioni di tipo spirituale, come anche l’intermediazione tra opere di letteratura e il mondo della ricerca scientifica e filosofica. Da qui l’attualità di riproporre questa riflessione firmata da Mario Lorenzetti* e apparsa sul bollettino della Società Italiana di Studi sugli Stati di Coscienza (SISSC), N°2 del settembre 1998.

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L’importante ricerca di Aldous Huxley sugli stati non ordinari di coscienza e sul rapporto che questi hanno con le dimensioni di tipo spirituale è a volte difficile da dimensionare, data da un lato l’importanza dell’opera dell’autore e la ‘prescientificità’ di essa dall’altro lato.

Troppo spesso viene apprezzato dal punto di vista narrativo, prescindendo dai suoi saggi, o dalla veicolarità dei suoi romanzi. Huxley si era posto il problema di una letteratura incapace di mediare con il mondo della ricerca scientifica e filosofica. In The  Final Revolution (intervento pubblico tenuto il 25 gennaio 1959 all’Università della California a San Francisco), Huxley precisa il suo pensiero a proposito:

‘Come mettere assieme il meglio di entrambi i mondi: il mondo della specializzazione, che è assolutamente necessario, e il mondo della comunicazione generale e di interesse nelle più grandi questioni della vita, che è anche necessario. Penso che l’uomo di lettere abbia un contributo da portare. Egli può, se sceglie di associarsi un po’ con gli specialisti, fare qualcosa per formare un ponte tra scienza e mondo in genere’(1).

Ma l’uomo di lettere ha per Huxley anche un ruolo veicolare nel produrre e rendere pubbliche con gli scritti riflessioni e intuizioni di carattere prescientifico:

‘Gli uomini di lettere(…) hanno prodotto alcuni estremamente interessanti risultati in questo campo, che possono essere chiamati prescientifici. Per esempio, se si paragona la psicologia medievale o la psicologia del XVI secolo con la poesia del Canterbury Tales di Chaucer, si percepisce l’enorme superiorità del letterato sull’uomo di scienza del periodo. Lo stesso è vero per Shakespeare. (…) La psicologia ufficiale, la psicologia scientifica non comincia a mettersi alla pari con la psicologia letteraria prima della seconda metà del XIX secolo. E’ incredibile percepire l’aridità della dottrina della psicologia ufficiale del periodo in paragone della psicologia letteraria di alcuni romanzieri come Balzac o Dickens o George Eliot o Dostoyevsky e Tolstoy. Si è sbalorditi di fronte alla povertà delle formulazioni scientifiche se paragonate alla straordinaria ricchezza e sottigliezza di questi uomini, attraverso osservazioni e intuizioni esposte nei loro romanzi’.(2)

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Frontiere PsicoTerapeutiche 2021: nuovi orizzonti per l’Italia

Il 29 e 30 maggio scorso si è svolto il primo incontro interamente dedicato alle terapie assistite con psichedelici o tecniche psichedelico-simili. Gli incoraggianti risultati di due importanti trial clinici condotti dall’Imperial College di Londra e dalla non-profit statunitense MAPS, la crescita esponenziale del dibattito e il crescente interesse economico sul tema psichedelico (nel 2021 Mindmed, azienda di biotech e psichedelici, ha ricevuto 240 milioni di dollari per promuovere ricerche e sintesi di sostanze psichedeliche) e altri segnali dal variegato fronte psichedelico globale hanno portato il circuito di Psy*Co*Re a decidere che “i tempi sono maturi” per ampliare il discorso e l’approccio generale anche nella penisola.

O quanto meno per affrontare seriamente la domanda-chiave: ci si sta muovendo verso la maturità psichedelica in Italia? Da qui il workshop-convegno in oggetto, di cui proponiamo una breve sintesi commentata.

Si è partiti dalla proficua condivisione di propositi fra giovani psichiatri e psicoterapeuti (per esempio Rossana Garofalo, Pier Laurenzi, Federico Seragnoli) e quella di specialisti affermati come Leonardo Montecchi e Riccardo Zerbetto. A convincere ed unire infatti non sono soltanto le statistiche e i dati delle ricerche estere, ma anche le testimonianze di pazienti italiani che, attraverso l’esperienza diretta di efficacia della cura, hanno permesso al prof. Gilberto di Petta, psichiatra fenomenologo, di ricredersi rispetto alle sostanze psichedeliche: alcune di esse possono essere strumenti di salvezza.

Nel caso specifico portato dal prof. Di Petta, la sostanza in questione è la ketamina, già impiegata in anestesia e di cui è permesso l’uso nella terapia della depressione maggiore resistente ai trattamenti classici con inibitori della serotonina (SSRI). Tuttavia, ad oggi la responsabilità dell’utilizzo di questo farmaco off-label (non previsto dai manuali ufficiali) pesa sulla decisione del singolo psichiatra, che di conseguenza si trova orientato verso la variante S-Ketamina, per cui esistono invece ricerche specifiche che ne consentono l’uso on-label (per approfondire l’uso della ketamina in terapia vedi questo articolo di Gianluca Toro).

Il dott. Alessio Faggioli, psicoterapeuta nella clinica PsyOn di Praga, a cui viene offerta terapia assistita con la ketamina, ha fatto notare che la prescrizione della più economica (e più efficace) ketamina potrebbe passare in secondo piano a causa degli interessi economici che sostengono la sperimentazione e l’adozione della costosa S-Ketamina.

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Progetto podcast: Psichedelyka: psychedelic feminine

PsichedelykaAppena partita una nuova, stimolante iniziativa nel circuito di Psy*Co*Re e della della Società Psichedelica Italiana. Si tratta di una serie di podcast periodici con interviste a donne che danno voce e spazio alla riflessione sugli enteogeni e il femminile, come dimensione del vivente.

Ideato da Carolina Camurati e Anna Rita Shakti Eva, il progetto Psichedelyka: psychedelic feminine vuole mettere in luce lo sforzo quotidiano, la passione, la missione di tante e tante donne impegnate in questo campo di ricerca, ancora così poco conosciuto. Ricordando altresì che “femminino” è un regno, qualità e dimensione che a tutti appartiene, cui ognuno di noi può accedere.

Come ribadiscono le autrici, si tratta di “un podcast artigianale, homemade, fatto con grande umiltà ma moltissimo entusiasmo”. Un approccio senz’altro positivo, con uno stile contenuto e senza fronzoli, tra conversazioni aperte e comprensibili, passando dal personale al globale, evitando iperboli e puntando a un ampio spettro di tematiche attuali.

Psichedelyka: psychedelic feminine ha un proprio spazio su Spotify, dove si contano già tre interviste: Chiara Baldini, Tania Re, Donca Vianu. Da non perdere. E buon ascolto!