Riceviamo e volentieri pubblichiamo un intervento di Leonardo Montecchi* in memoria di Piero Coppo (1940-2021), recentemente scomparso. Neuropsichiatria e psicoterapeuta, Piero è stato tra i primi in Italia a svolgere seminari sulla respirazione olotropica di Stanislav Grof e, fra le tante attività, ha variamente collaborato con la Sissc. La questione degli stati altri di coscienza e dell’interazione con quella che chiamiamo normalità rimane uno dei suoi temi centrali: normalità e quello che definiamo come stato altro/alterati sono solo «le due facce della stessa medaglia».
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Ho conosciuto personalmente Piero Coppo negli anni novanta. In quel periodo stavo lavorando attorno ai temi della dissociazione con George Lapassade e tutto il vasto gruppo di ricerca trans-disciplinare che si era composto per ricercare sul tema della transe metropolitana. La rivista I Fogli di Oriss, diretta da Piero pubblicò un mio saggio ed io venni invitato a casa sua, in Toscana per partecipare ad un seminario sulla transe. Venne proiettato un documentario girato in Madagascar e ci fu una interessante discussione durata due giorni. In quella circostanza ebbi modo di conoscere Piero e di iniziare un dialogo ed una ricerca con lui che è durata fino alla sua morte e che continua ancora.
Di cosa si tratta? Piero aveva aperto la strada alla Etnopsichiatria in Italia, l’aveva aperta seguendo le tracce di Michele Risso che negli anni 50 si era occupato dei deliri da sortilegio degli emigranti italiani in Svizzera. Questi giovani uomini che si avvicinano alle ragazze svizzere molto più libere delle loro fidanzate o mogli che avevano lasciato nel paese, arrivavano alla osservazione psichiatrica dopo che i loro sintomi somatici come gastriti, coliti, cefalee od altro non avevano trovato riscontro nella diagnostica clinico-laboratorista.
Michele Risso, che conosceva le ricerche di Ernesto de Martino sul mondo magico,parlando con loro ipotizzò il delirio da sortilegio o da affatturamento. Cioè, queste persone anziché percepire il senso di colpa per un “tradimento” anche solo del desiderio, percepivano l’effetto di un sortilegio che era stato effettuato nella loro terra di provenienza dalle loro donne tramite operatori specifici.
Come si vede, questa ipotesi è centrale nella Etnopsichiatria. Michele Risso poi andò a lavorare a Gorizia con Basaglia ed a condividere con quella equipe che portava avanti la rivoluzione psichiatrica le sue teorie e pratiche fortemente innovative che l’introducevano il punto di vista, la prospettiva dell’altro nel vincolo terapeutico.
Mi piace pensare che Piero Coppo e Michele Risso si siano conosciuti a Gorizia, questo non lo so è certo che Piero che è di una generazione successiva a Risso, si è laureato in medicina e specializzato a Bologna in neuropsichiatra nel 1968, le due specialità erano ancora unite, poi è andato in Svizzera come interno all’Ospedale Psichiatrico di Losanna.
Alla fine degli anni ’70 comincia la sua presenza in Africa, soprattutto in Mali per una ricerca su psichiatria e medicina tradizionale. Questa è la radice del suo lavoro etnopsichiatrico che lo porterà ad essere un punto di riferimento per la disciplina della etnopsichiatria.
Da quella esperienza esce nel 1994 per Bollati Boringhieri Guaritori di follia, storie dell’altopiano Dogon, e poi nel 1996 Etnopsichiatria per i tipi del Saggiatore. L’ultimo suo libro, curato nel 2017 insieme a Laura Girelli, è stato Schiudere Soglie.
Seguiranno altri testi importanti per la teoria e per la clinica, come “le ragioni degli altri”, dedicato alla etnopsicoterapia. La costruzione del centro studi Sagara è stato, a mio parere un lavoro fondamentale per cominciare a strutturare la formazione, la trasmissione delle conoscenze e la ricerca nell’ambito etnopsichiatrico. La collaborazione con Lelia Pisani è stata feconda. È proprio con il centro studi che è continuato il mio vincolo con Piero e con la sua ricerca.
Mi chiamò per tenere un seminario assieme a lui nel settembre del 2019 ed allora abbiamo pensato a ulteriori scambi non solo con me, ma anche con la scuola Bleger. Abbiamo parlato della importanza del gruppo in tutte le ricerche e nella didattica. Ricordo, ad esempio, una discussione sull’ importanza del controtransfert culturale e di come questo si possa attivare nel contatto con i migranti sotto la forma del “fascista che è in me” il che comporta un lavoro di formazione e di intervento culturale che appartiene alla prevenzione e alla psicopolitica.
Lo scorso anno, causa Covid, l’importante seminario che aveva organizzato il centro Sagara, si è poi svolto online. In quella occasione le voci erano quelle di Jeremy Narby, Piero Coppo e la mia. Abbiamo parlato del rapporto fra sostanze allucinogene e stati modificati di coscienza e di come certe esperienze possano fare entrare in contatto con percezioni del reale che vanno a costituire altre realtà, altri punti di vista, altre prospettive che non sono psicopatologia ma costruzioni culturali,universi simbolici,che possono,anzi devono,dialogare fra loro in una dimensione planetaria e non combattersi e squalificarsi come follie o primitivismi.
Piero partecipò anche all’assemblea online che il gruppo di ricerca intercontinentale sulla pandemia (GRIP) aveva organizzato in concomitanza con il referendum in Cile. Mi piace pensare che, proseguendo con questi progetti, continuiamo a seguire lo spirito che l’opera teorica e pratica di Piero ci indica.
*Leonardo Montecchi: psichiatra, psicoterapeuta, direttore della scuola di prevenzione Josè Bleger.