Decisamente importante la notizia appena diffusa da Nova Mentis, azienda canadese di biotecnologia specializzata in medicina psichedelica: riguarda direttamente l’Italia e potrebbe anzi segnare l’avvio della ricerca scientifica in questo campo emergente anche nel nostro Paese.
È stato infatti approvato l’invio di psilocibina sintetica all’università di Roma Tre, per lo studio della sindrome dello spettro autistico (Autistic Spectrum Disorder, ASD: caratterizzata da ridotte abilità relazionali e sociali, da comportamenti ripetitivi, stereotipie e una serie di sintomi secondari quali ansia, deficit cognitivi e disturbi dell’umore) in una ricerca condotta su animali da laboratorio.
Parimenti stimolante è il percorso razionale alla base di questa scelta. La ricerca in questo campo rimanda alle indagini avviate già negli anni ‘60 da Rick Strassman in Usa, presso l’Università del New Mexico ad Albuquerque (come riportato nel 1997 anche nel quarto numero di Altrove, la rivista annuale della SISSC). Gli studi elencati da Strassman presentano però, caratteristica tipica di quegli anni, problemi metodologici e risultati non del tutto convincenti, pur se incoraggianti – di conseguenza non compaiono nelle indagini recenti su psichedelici e ASD.
In realtà, sono scarsi gli studi recenti sulla possibilità di applicare composti psichedelici a questa severa patologia. Vanno tuttavia segnalati casi come quello di Aaron Paul Orsini che, diagnosticato con ASD all’età di 23 anni, sperimentò l’attentuamento delle sua condizione durante il suo primo viaggio con l’LSD, descritto in dettaglio nel libro dello scorso anno Autism on acid (da non perdere la presentazione dello stesso autore su YouTube).
Volendo approfondire la letteratura che gravita intorno alla questione vengono alla luce potenziali dei composti psichedelici (proprietà anti-infiammatorie, immunomodulatrici e di neurogenesi) diversi dalle loro caratteristiche più note (alterazione della percezione ed espansione della coscienza), ma non per questo meno promettenti.
Oltre il cervello: psichedelici tra corpo e mente
Gli interessi dell’azienda canadese Nova Mentis , promotrice del nuovo studio sul ruolo degli psichedelici nell’autismo, riguardano principalmente i potenziali effetti anti infiammatori degli psichedelici e la loro azione sul sistema intestino-microbiota-cervello.
Il microbiota, ossia la popolazione di microrganismi che abita il nostro intestino, è implicato non solo nella digestione di carboidrati complessi ma anche alla protezione dagli agenti patogeni, all’attivazione di processi anti-infiammatori e antiossidanti e alla stimolazione del sistema immunitario. Un’alterazione del microbiota è stata recentemente messa in relazione con l’eziologia della sindrome dello spettro autistico, ed è intrigante notare come gli psichedelici sembrano avere un possibile effetto benefico su di esso (ricordiamo che una larga percentuale dei recettori per la serotonina su cui queste sostanze agiscono si trova nell’intestino).
Anche lo stress ossidativo e l’infiammazione hanno una responsabilità nei sintomi autistici e, ancora, gli psichedelici rivelano un potenziale anti-infiammatorio che ha portato alcuni ricercatori ad investigare il loro ruolo terapeutico per malattie auto-immuni
Neuroni in trip: psichedelia e plasticità neurale
In questo nuovo studio italiano la psilocibina sarà testata in un modello preclinico di autismo, ampiamente validato dalla letteratura scientifica e basato sull’esposizione prenatale dei roditori all’acido valproico, un farmaco antiepilettico la cui esposizione, nell’uomo, è un fattore di rischio per l’incidenza della patologia.
Oggetto di ricerca sono anche gli effetti specifici prodotti dagli psichedelici sulla plasticità neurale (proprietà che consente al cervello di modificare la sua struttura e le sue funzioni attraverso cambiamenti dei singoli neuroni).
L’influenza psichedelica sulla crescita dei neuroni (neurogenesi) è però accertata, e probabilmente svolge un ruolo importante nello spiegare gli effetti anti-depressivi a lungo termine. Studi in vitro con cellule neurali hanno infatti provato che l’esposizione a psichedelici classici quali LSD e DMT aumenta la complessità della ramificazione di sinapsi e dendriti (fibre che permettono il passaggio del segnale nervoso e la connessione tra neuroni). Se questa influenza sulla plasticità potrà anche ridurre le alterazioni nocive al neurosviluppo causate dall’acido valproico è però ancora da stabilire.
Dal laboratorio alla pratica o dalla pratica al laboratorio?
Traendo alcune conclusioni: questo futuro studio psilocibinico italiano, il primo nel nostro Paese da quando si è osservata una forte ripresa delle ricerche in questo campo, oltre 20 anni fa in alcuni ambiti statunitensi, desta piacevole sorpresa ed è degno di interesse. Non ultimo perché parte integrante della seconda fase del revival generale in corso, tesa verso la necessaria “maturità psichedelica”. La speranza infatti è che questa ricerca possa contribuire a fare luce su aspetti ancora poco esplorati e misteriosi delle scienze psichedeliche come l’influenza sul microbiota intestinale, le proprietà anti-infiammatorie e di neurogenesi.
Caratteristiche affascinanti che mettono in risalto l’indissolubile unità del sistema corpo-mente e indirizzano ulteriormente la medicina verso un approccio sempre più integrato. Tuttavia ci auguriamo che l’Italia non si limiti a studi su modelli animali accentuando i soli aspetti bio-medici, volutamente trascurando la parte psicologico-esistenziale della ricerca in ambito psichedelico. Sono infatti gli stessi specialisti ad affermare che, sebbene gli studi di laboratorio con modelli animali siano fondamentali, solo l’esperienza umana può essere la fonte di ispirazione per una futura e autentica medicina psichedelica.