Obiettivo di questa lunga intervista, realizzata molti anni fa in tre puntate e riproposta in integrale qui di seguito, è quello di offrire una panoramica sintetica sui modelli degli stati di coscienza da parte di quel grande esperto, studioso, ricercatore e amico che era Marco Margnelli (1939-2005), prematuramente mancato nel febbraio di 16 anni fa.
Neurofisiologo e psicoterapeuta milanese, Marco Margnelli era anche ricercatore presso il Cnr, il Karl Ludwig Institut fur physiologie dell’Università di Lipsia e l’Università del North Carolina, nonché fondatore e presidente iniziale della Società Italiana per lo Studio degli Stati di Coscienza (SISSC), al cui trentennale è stata dedicata un’apposita sezione nel corso degli Stati Generali della Psichedelia 2020.
Questa ripubblicazione vuole essere innanzitutto un tributo alla memoria di Marco, nell’imminente anniversario della sua scomparsa. Ed è anche l’occasione per una riflessione sulla sua interessante ricerca in cui parla di modelli, cartografie, ipnosi, sogni lucidi e altro ancora. Purtroppo mi è mancata l’opportunità di ascoltare Marco in quella che già qui preannunciava essere la sua sintesi finale sugli stati non ordinari di coscienza, relativa alla “Chiara Luce del Vuoto”. Non c’è stato tempo per “parlarne un’altra volta”, mi spiace molto….
Il testo qui di seguito raccoglie le tre interviste pubblicate sui numeri 3 (dicembre 1998), 4 (aprile 1999) e 7 (giugno 2000) del Bollettino annuale della SISSC, nella serie curata da me in quegli anni.
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INTERVISTA A MARCO MARGNELLI
Mario: Quando è nato il tuo interesse per gli stati di coscienza?
Marco: Per quanto curioso possa sembrare, ho un ricordo molto preciso sulla nascita di questo interesse. Un giorno stavo facendo delle fotocopie di alcuni testi sull’estasi scritti da teologi e mentre li leggevo qua e là mi colpì il fatto che non veniva mai fatto cenno all’aspetto “scientifico” del fenomeno. Tutt’al più veniva affrontato il problema delle allucinazioni o della possibilità che gli estatici fossero degli schizofrenici, una trattazione abituale in questi scritti che mi ha spesso irritato, sia perché non è possibile restare fermi su un concetto per due secoli, quando il sapere scientifico è contemporaneamente evoluto in modo vertiginoso, sia perché tutti i teologi hanno sotto gli occhi un grande numero di biografie esemplari di mistici-estatici che si sono dimostrati tutto tranne che schizofrenici. Ma quel giorno, mentre facevo le fotocopie, “decisi” che ne avevo abbastanza, che l’estasi era uno stato di coscienza e che sarebbe valsa la pena di dimostrarlo sperimentalmente. Allora avevo circa 35 anni e lavoravo come ricercatore in un istituto (Istituto di Fisiologia dei Centri Nervosi) del Consiglio Nazionale delle Ricerche e perciò avevo dimestichezza con il modo di pensare degli scienziati e con i metodi della ricerca scientifica. Mi scandalizzava che i teologi disquisissero di allucinazioni e di schizofrenia orecchiando le interpretazioni degli psichiatri e rimaneggiando luoghi comuni scientifici di autori che di mistica non ne sapevano nulla. Mi irritava il fatto che i teologi non utilizzassero i fatti concreti e cioè la testistica psicodiagnostica (non si può, oggi, sostenere un sospetto di malattia mentale se non si sono fatti gli opportuni test) oppure il criterio epicritico sulle vite dei presunti allucinati/schizofrenici, e cioè il fatto che molti estatici erano/sono stati grandi imprenditori, acuti scrittori o “politici” formidabili, ciò che molto raramente accade agli ospiti dei manicomi. Ma soprattutto mi irritava l’atteggiamento degli “esperti” dai quali i teologi orecchiavano le loro trattazioni, degli psichiatri o degli psicoanalisti che pontificavano paragoni e confronti tra deliri patologici ed esperienze estatiche, tra menti sane e menti malate senza mai avere visto un estatico da vicino o aver studiato una vera estasi. Di queste idiozie sono strapieni tutti i trattati di psichiatria e ho cercato invano, per anni, qualcuno che non si accodasse passivamente a questi luoghi comuni e avesse deciso di affrontare l’argomento in modo scientifico e non ideologico. Insomma, il mio interesse per gli stati di coscienza è nato dalla rabbia, da una fotocopiatrice e dal fatto che ero un fisiologo e non uno psichiatra.